Ottant’anni fa attualizzò per l’Italia i principi fondamentali del pensiero sociale cattolico.

Da allora stiamo continuando a leggerlo nella Costituzione repubblicana.
Ideato ottant’anni fa, il Codice di Camaldoli è un utile promemoria per scrivere il futuro del tempo presente.
È già stato un promemoria per la scrittura della Costituzione della nuova Italia repubblicana.
Per questo nel pomeriggio di venerdì 21 luglio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarà al monastero benedettino di Camaldoli, in provincia di Arezzo. Qui tra venerdì e domenica è in programma una “rilettura” storica dal titolo: “Il Codice di Camaldoli: tra mito e storia una vicenda ricolma di futuro a ottant’anni dal convegno del luglio 1943”.
Codice di Camaldoli è un… soprannome. I suoi autori, al momento di renderlo pubblico (a Pasqua del 1945) in un libretto dell’Editrice Studium, lo titolarono Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale a cura di un Gruppo di studiosi amici di Camaldoli: progettualità prevalentemente rivolta alla comunità dei credenti, dunque. Per questo al monastero di Camaldoli ci saranno anche il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani, e il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano.
Dal 18 al 24 luglio 1943 a Camaldoli
Il ritorno a Camaldoli, ancora di luglio, è una giusta scelta di commemorazione e di gratitudine. È possibile che diventi un momento di apprendimento di come si costruisce il futuro nei tempi di transizione.
Quei giorni di luglio, da domenica 18 a sabato 24, del 1943 erano proprio giorni di transizione.
Il 9 luglio era iniziato lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia.
Il 19 luglio 1943, ore 11.03: da 6.000 metri di altezza sulla verticale dello scalo merci San Lorenzo, “Lucky Lady” sgancia le prime bombe alleate su Roma.
Il 25 luglio il Gran Consiglio del fascismo delegittima Mussolini, che presenta le dimissioni; il Re lo fa arrestare.
Nel Natale precedente i cattolici italiani (assieme a tutto il mondo) avevano potuto ascoltare il Radiomessaggio di Papa Pio XII L’ordine interno delle Nazioni; un messaggio sulla ricostruzione sociale, che invitava i credenti a reagire sulla base della centralità della persona.
Era inevitabile che un appuntamento, quello delle Settimane di Camaldoli, che il Movimento dei Laureati di Azione Cattolica proponeva a luglio fin dal 1936, su iniziativa segretario centrale Igino Righetti, si desse in quell’estate del 1943 una prospettiva nuova.
Diventeranno famosi
A Camaldoli si ritrovano in più di una trentina, guidati da mons. Adriano Bernareggi, vescovo di Bergamo e assistente centrale del Movimento. Con lui ci sono altri religiosi, come il teologo trevigiano don Pietro Pavan (diventerà magnifico rettore dell’Università Lateranense e anche cardinale).
In maggioranza i partecipanti a quella speciale Settimana Camaldolese sono, però, laici: studiosi, imprenditori, in prevalenza giovani laureati pronti all’impegno politico.
Arrivano da tutta Italia. Tra i veneti ci sono il vicentino Vittorino Veronese (sarà direttore generale dell’Unesco) e il veronese Guido Gonella (gli italiani lo conosceranno come segretario della Democrazia Cristiana e come ministro). Del resto, i nomi di molti altri camaldolesi diventeranno poi notissimi: Ezio Vanoni, Giorgio La Pira, Paolo Emilio Taviani, Sergio Paronetto, Angela Gotelli, Giuseppe Capograssi, Gesualdo Nosengo, Aldo Moro, Giulio Andreotti.
Tutti avvertono che quello è il tempo di attualizzare per l’Italia i principi fondamentali del pensiero sociale cattolico, che si era evoluto nella comunità ecclesiale e civile sia italiana sia europea sulla base della Dottrina sociale della Chiesa. Passano la settimana ad esaminare e poi codificare le finalità che il futuro Stato democratico italiano deve avere e gli strumenti di cui deve dotarsi per realizzare le proprie finalità.
Persone in uno Stato attivo
Hanno bene in mente il ruolo dello Stato democratico da costruire dopo il fascismo, ma all’origine e al centro del Codice di Camaldoli c’è la dignità della persona e il suo primato rispetto allo Stato.
In questa scelta c’è il netto rifiuto del fascismo e di ogni visione totalizzante della politica. Lo Stato non è un ente superiore, ma lo strumento per il bene comune. E il bene comune non è una condizione collettiva; si realizza nella vita di ciascuna persona: con i suoi bisogni reali, con la sua dignità da rispettare e valorizzare.
La salvaguardia della libertà personale e la realizzazione di condizioni di giustizia sociale sono nel Codice di Camaldoli i compiti essenziali del nuovo Stato democratico. Sono due compiti connessi: la libertà delle persone non può essere piena senza giustizia sociale.
Lo Stato, in quanto strumento della centralità della persona, è nel Codice di Camaldoli tutt’altro cheuno “Stato minimo”. È uno Stato attivo nella società e nell’economia, proprio perché ha il compito di creare la piena cittadinanza attraverso la riduzione – e possibilmente la rimozione – degli ostacoli economici e sociali che si frappongono sta le persone e la loro pari dignità.
Per questo, detta il Codice, tra i compiti rilevanti dello Stato democratico c’è quello di assicurare a ciascuna persona i beni primari e un’equa remunerazione del lavoro. Far superare le condizioni di indigenza è – secondo i camaldolesi – una priorità nell’intervento dei pubblici poteri, che per raggiungere questo fine hanno anche la possibilità di limitare la tutela della proprietà privata dei beni non essenziali.
Mons. Montini: “Andate avanti”
Nel riconoscimento di questo ruolo attivo dello Stato il Codice di Camaldoli va definitivamente oltre le varie e alternanti modalità con le quali i cattolici italiani si erano rapportati con lo Stato unitario. Per la Chiesa cattolica non vengono rivendicati privilegi: il pieno rispetto della libertà religiosa da parte dello Stato e delle sue istituzioni risponde alla centralità della persona ed è richiesto per tutti i cittadini, non specificatamente per i cattolici.
È del resto lo spirito con il quale discutono e scelgono le persone riunite a Camaldoli tra il 18 e il 24 luglio del 1943: c’è in loro la forte la tensione a partecipare, ad arricchire con l’apporto dei credenti il tavolo della ricostruzione civile e politica. Proprio perché vi si accentuano il ruolo e le responsabilità della società civile, nel Codice di Camaldoli non c’è traccia di volontà di egemonia e tanto meno c’è traccia di uno “Stato cattolico”, o comunque confessionale, categoria a lungo coltivata dal pensiero cattolico tra ’Ottocento e parte del Novecento.
I partecipanti alla Settimana di Camaldoli del 1943 sono semplicemente convinti che i cattolici debbano esserci nel tempo che prepara la nuova Italia e nell’Italia democratica futura.
Non è solo la loro convinzione. Hanno alle spalle la loro Chiesa; e non solo perché a studiare e a scrivere con loro c’è un vescovo, come mons. Bernareggi; o perché tra loro c’è anche chi, come Gesualdo Nosengo, è “rifugiato politico” in Vaticano, dove prepara il dopo fascismo col gruppo che fa capo alla Fuci, ai Laureati Cattolici e a mons. Montini, futuro Paolo VI.
All’allora sostituto della Segreteria di Stato, mons. Giovan Battista Montini, l’iniziativa di Camaldoli era stata ben presentata dal rettore dell’Università Cattolica, padre Agostino Gemelli. Il futuro Papa Paolo VI risponde: “Andate avanti”.
Larga fama ma pochi lettori?
E i camaldolesi vanno avanti.
Vanno avanti a pensare, a definire a scrivere.
La trasformazione in un testo è curata da Sergio Paronetto, Ezio Vanoni, Pasquale Saraceno e Giuseppe Capograssi, che rielaborano i 76 enunciati definiti nelle discussioni del convegno camaldolese e ne fanno Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale a cura di un Gruppo di studiosi amici di Camaldoli, il libretto pubblicato poco prima della Liberazione, nel 1945.
Raccontano le cronache che quella prima edizione si esaurì in poche settimane; non se ne fece, però, una seconda edizione.
Il Codice di Camaldoli ebbe larga fama ma pochi lettori? La risposta è affermativa solo nella forma, ma non nella sostanza. Non passò molto tempo e quel Codice fu letto nell’Assemblea costituente e da allora stiamo continuando a leggerlo nella Costituzione repubblicana.
I camaldolesi, dopo quel luglio del ’43 e dopo la Pasqua del ’45, hanno continuato ad andare avanti, seguendo l’invito di mons. Giovan Battista Montini. Molti di loro si sarebbero ritrovati proprio all’Assemblea costituente, a definire i contenuti e gli scopi dell’Italia repubblicana.
Negli articoli 2 e 3 della Costituzione la centralità e la dignità della persona umana sono sancite come scopo fondamentale del nuovo ordinamento repubblicano. Cuore della Costituzione è il principio di uguaglianza sostanziale: principio che si trasforma in impegni per lo Stato e tutti gli organi pubblici per il superamento delle diseguaglianze economiche e sociali.
I camaldolesi sono andati avanti, applicando la Costituzione alle scelte di governo: i patti agrari, il fisco redistributivo, il Piano Fanfani per case popolari, le pensioni sociali, la scuola per tutti, le partecipazioni statali nell’industria per lo sviluppo e l’occupazione.
Sono anche “articoli” del Codice di Camaldoli: quel promemoria per la nuova Italia, che ottant’anni dopo ha idee e parole per essere un promemoria per il futuro.
16 luglio 2023
Immagine di copertina
Il Monastero e il Sacro Eremo di Camaldoli da Comunità di Camaldoli