Dal Codice di Camaldoli al superamento della Dc

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Due anniversari storici del cattolicesimo popolare italiano e le coincidenze non solo di date: 23 luglio 1943, 23 luglio 1993.

Gli esiti sono stati diversi, ma la conclusione resta aperta in questo 2023.

“Altri sono i tempi storici nei quali viviamo: là eravamo (…) alla vigilia della costituzione di quel che sarà il ‘Partito cattolico’, ora siamo trent’anni dopo la sua fine”.

C’è quasi una sovrapposizione di giorni tra i due anniversari che riguardano il cattolicesimo politico e sociale in Italia: ottant’anni dalla progettazione del Codice di Camaldoli (18- 24 luglio 1943), trent’anni dal superamento della Democrazia Cristiana (23-26 luglio 1993).

Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, cita la coincidenza di date nel monastero di Camaldoli domenica 23 luglio nell’omelia che conclude il Convegno di studi dedicato all’origine e ai contenuti del Codice di Camaldoli.

Il cardinale cita la coincidenza, senza commentarla.

A far notizia (e storia) non fu la nascita del Ppi

Qualche minuto prima, in quella stessa omelia, mons. Pietro Parolin aveva detto: “In contesti diversi, in mondi diversi rimane necessario, indispensabile il discernimento del proprio tempo. Comprendere la storia in atto e le sue necessità, a partire dall’ispirazione cristiana, significa elaborare una cultura adeguata che oggi è in larga parte inedita”.

È proprio quello che 1.539 cattolici democratici (non solo democristiani) si erano impegnati a fare tra il 23 e il 26 luglio del 1993 al Palazzo dei Congressi all’Eur di Roma. Nel pomeriggio di lunedì 26 luglio Mino Martinazzoli, segretario della Democrazia Cristiana, legge il documento conclusivo di quella Assemblea programmatica costituente, che riassume la ricerca e il dibattito di quei quattro giorni. L’ultimo capoverso recita: L’Assemblea decide di dar vita ad un nuovo soggetto politico, di ispirazione cristiana e popolare, destinato ad aprire la terza fase dei cattolici democratici nella storia d’Italia”.

Finiva la fase della Democrazia Cristiana, si andava verso il Partito Popolare Italiano (il nome della prima fase, quello della scelta di stare dentro la società e le istituzioni e di come starci).

Trent’anni fa, e poi negli anni successivi, a far notizia (e poi storia) non fu la nascita del Ppi, ma la morte della Dc.

Inevitabile questa preferenza, visto che si trattava del maggior partito italiano dall’inizio della Repubblica; il partito che aveva sempre governato. Anche nel momento del suo superamento la Dc era la forza politica più rappresentata in Parlamento.

Le macerie del Pentapartito

Ma per le stesse ragioni: come è stato possibile che quel partito si dissolvesse in pochissimo tempo?

Nel giorno di apertura, il 23 luglio 1993, all’Assemblea programmatica all’Eur era intervenuto il cancelliere tedesco Helmut Kohl, democratico cristiano anch’egli, per sottolineare che l’Europa non sarebbe stata quella che era senza il contributo della Democrazia Cristiana italiana. I cattolici popolari e sociali italiani erano stati infatti promotori e costruttori della Comunità europea e poi dell’Unione Europea, nella quale l’Italia era protagonista nei programmi e anche nei governanti.

Torna la domanda: come è stato possibile che quel partito si spegnesse così in fretta?

C’era Tangentopoli.

La mattina di quello stesso 23 luglio si era ucciso l’imprenditore Raul Gardini: lo aspettava l’arresto per i fondi neri della Montedison. Il giorno dopo la prima pagina dei quotidiani era per quel suicidio e non per la Dc. Poche ore dopo all’Assemblea costituente dell’Eur Mino Martinazzoli dice: “Siamo qui […] con l’orgoglio di un patrimonio di idee e di valori tutt’altro che inattuale, e certo, con il rimorso di ciò che è mancato, di ciò che ha deviato, di ciò che ha tradito”. Nel corso dei lavori Sergio Mattarella sottolinea che “tra la nostra storia e il nostro futuro c’è la montagna di tangentopoli. […] Vi sono alcuni nostalgici che si illudono di ereditare ciò che rimane, in realtà le macerie del pentapartito”.

Non contava davvero nulla la caduta del Muro di Berlino

C’era Tangentopoli; c’erano i magistrati di Mani Pulite.

C’era – già prima di Tangentopoli – un’altra società rispetto al progetto politico pensato a Camaldoli mezzo secolo prima.

Non contava davvero nulla la caduta del Muro di Berlino. La “paura dei comunisti” non esisteva nel luglio del 1993. Sei mesi dopo sarebbe diventata la “furbata” con cui Silvio Berlusconi offriva all’elettorato popolare l’alibi di restare “democristiano” pur votando per un‘altra società: quella in cui la riduzione delle diseguaglianze sociali nulla contava rispetto alla conquista individuale del benessere.

Era una trasformazione culturale che – ad esempio in Veneto – era già iniziata con il travaso di voti dalla Dc alla Lega, travaso così prepotente che anche molti preti ne furono travolti: chi con l’alibi di andare a cercare “le pecorelle smarrite”, chi con l’idea che fosse un modo per rallentare l’incorporazione del Concilio nelle comunità.

L’Assemblea programmatica costituente era stata progettata dalla Dc nella piena consapevolezza di questa trasformazione sociale e culturale.

Bisognava certo essere capaci di vita e di novità sotto il bombardamento di Tangentopoli. C’era la “consapevolezza di un costo umano e politico assai alto che dobbiamo pagare; non facciamo come quelli che, per fatti uguali, continuano a dichiararsi diversi”, disse Mino Martinazzoli nella relazione introduttiva.

Solo lo scudo crociato con la scritta “Libertas”

Il contenuto e la speranza di quell’Assemblea erano però altri.

Lo dimostra già fisicamente la sua composizione. Ci sono 648 delegati con diritto di parola e di voto: sono per metà rappresentanti degli iscritti al partito e per metà rappresentanti dell’area cattolica della società italiana. Ci sono altri 891 delegati con diritto di parola (e invito a prenderla): si tratta personalità sia del partito sia dell’associazionismo, della cultura, del lavoro e dell’economia. Ci sono altre 800 persone, invitate ad assistere dal vivo alla trasformazione, che deve continuare una storia, quella riassunta nell’unico simbolo presente nel Palazzo dei Congressi all’Eur: lo scudo crociato con la scritta “Libertas”.

È una grande Assemblea strutturata per progettare una strada. Lavora in sei commissioni di studio, perché all’origine del cammino c’è la progettazione culturale.

Era stata la necessità cui dava risposta il metodo adottato mezzo secolo prima alla Settimana dei laureati cattolici a Camaldoli. “La presenza politica, che avrebbe segnato la ricostruzione e decenni successivi, rinasceva dal grembo della cultura”, ha notato il cardinale Zuppi nell’introdurre venerdì 21 luglio il convegno sull’anniversario del Codice di Camaldoli.

Torna ad essere considerata una necessità anche dai molti che provano a valorizzare il “patrimonio del cattolicesimo democratico in questo Paese”, come scrive la prima delle sei commissioni si studio in cui si articola l’Assemblea dell’Eur. È la commissione dedicata a “Laicità e ispirazione cristiana” e non a caso è la prima commissione.

Il passaggio dalla società alla comunità

L’elaborazione culturale era cominciata prima dell’appuntamento del 23 luglio 1993; continuerà anche nei mesi successivi fino alla costituzione formale del Ppi e oltre. Si immagina – tra l’altro – un partito che pone sempre al centro del suo progetto il primato della persona, e partendo dalla persona propone che il prossimo “tempo” della Repubblica veda il passaggio dalla società alla comunità.

Con ciò sfida sia l’individualismo liberista che si sta diffondendo nell’elettorato italiano, sia il localismo identitario. Il progetto politico dei cattolici popolari italiani “non può non avere una dimensione universale, facendosi carico della condizione dei Paesi poveri dove si concentra il 90 per cento della popolazione mondiale”, si legge nelle conclusioni della quarta Commissione, che si occupa di “Persona, famiglia, comunità e progetto sociale”.

La Democrazia Cristiana sceglie di andare oltre se stessa non per “resistere”, ma per “vivere” nel tempo nuovo.

“Una responsabilità di tutto il Popolo di Dio”

Non c’è dunque solo una coincidenza di anniversario in questi giorni di luglio 2023: c’è una coincidenza di visione culturale e una sovrapposizione di progetti tra il 1943 e il 1993, pur essendo ciascuno dei due originale ed irrepetibile come le condizioni in cui sono rispettivamente maturati.

Della Settimana di Camaldoli del 1943 possiamo raccontare l’inveramento nella vita degli italiani e nella storia della Repubblica. Dei giorni dell’Eur del 1993 possiamo solo conservare il ricordo e provare a riprendere il discorso, constatando che “l’individualismo esasperato di oggi non restituisce alle persone la libertà sperata, la felicità cercata, bensì il consumo di sé stessi”, dice proprio in questo 23 luglio 2023 il cardinale Pietro Parolin nella sua omelia.

In ciascuna delle due occasioni i cattolici democratici hanno comunque accettato “doveri ignoti ad altre età”, come li definì Papa Pio XII nel 1942. La definizione è riportata alla memoria ancora dal Segretario di Stato della Santa Sede.

Aggiunge mons. Parolin: “È questa oggi una responsabilità di tutto il Popolo di Dio”. Lo era anche nel 1993, ma non fu avvertita come tale dal Popolo di Dio, non lo fu da molti laici, non lo fu da molti consacrati, non lo fu da molti giornalisti cattolici.

23 luglio 2023

Immagine di copertina

Papa san Paolo VI con Mino Martinazzoli, ultimo segretario della Democrazia Cristiana, dalla pagina Democristiani quotidiani