Il blocco navale non l’hanno proprio fatto

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La Destra ha aumentato le difficoltà nella gestione delle migrazioni.

Due illusioni ottiche: gli invasori alle porte e le forze armate come baluardo.

Non basta un governo di Destra per ridurre l’immigrazione. È una constatazione ad un anno dalle elezioni parlamentari del 2022 che hanno portato alla formazione del governo di Giorgia Meloni.

I numeri dei migranti arrivati quest’anno in Italia sono addirittura tali che si prestano a rilanciare, rovesciata, una falsificazione propagandistica ancora utilizzata: altro che le Ong; è proprio il governo di Destra il grande attrattore di persone straniere; in Italia c’è un pull factor di Stato. È – ovviamente – una falsità; come è una falsità – ovviamente (ma non lo era per la Destra di opposizione e non lo è ancora per la Destra di governo) – che siano le navi delle Ong o – in passato – quelle dell’operazione europea “Mare nostrum” i fattori di attrazione delle migrazioni.

Una promessa senza fondamento

Eppure, la Destra italiana ne ha provate tante nel primo anno di governo; altre continua a provarne.

Il punto fisso resta, comunque, la promessa elettorale del blocco navale. È una promessa senza fondamento, quindi una bugia: lo era in campagna elettorale, resta tale anche quando è trasformata in programma del governo italiano, non cambia natura con una spruzzatina europea.

Lo schieramento nel Mediterraneo di navi militari, solo italiane o assieme a qualche altra Marina europea, richiederebbe un consenso diplomatico impossibile da raggiungere tra paesi rivieraschi. Il fallimento – prevalentemente per ragioni di politica interna tunisina – del memorandum Ue-Tunisia in tema di migranti, siglato alla fine dello scorso luglio, ne è una conferma.

Al di là degli insormontabili impedimenti diplomatici, l’utilizzo di navi militari per fermare barchini di migranti è tecnicamente improponibile per la differenza di stazza delle imbarcazioni: le manovre di avvicinamento e respingimento presentano una elevatissima probabilità di naufragio per l’imbarcazione più piccola. La conferma c’è già con i frequenti affondamenti di natanti di migranti accostati dalle motovedette libiche, che sono molto più piccole di una nave militare.

Evocata persino la divisione Wagner

Il blocco navale militare, quindi, non si è fatto e non si farà.

Si è utilizzata e si continuerà ad utilizzare la sua evocazione perché attraverso di essa si vogliono far sembrare concrete due illusioni ottiche: gli invasori alle porte (anzi, ai porti) e le forze armate come baluardo.

 I pericolosi invasori sono i migranti, specialmente se riescono ad arrivare… con il telefonino e con le scarpe (avvertimento del vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini). Altro che “carico residuale” (definizione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi).

Sono numeri che preoccupano il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida: “Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro. Non è quella la strada”.

Ancora più preoccupato il ministro della Difesa Guido Crosetto, che nella primavera scorsa giungeva a credere che “l’aumento esponenziale del fenomeno migratorio che parte dalle coste africane sia anche, in misura non indifferente, parte di una strategia chiara di guerra ibrida che la divisione Wagner, mercenari al soldo della Russia, sta attuando. L’immigrazione incontrollata e continua, sommata alla crisi economica e sociale, diventa un modo per colpire i paesi più esposti, in primis l’Italia, e le loro scelte geostrategiche, chiare e nette”.    Dopo che la divisione Wagner ha fatto la fine a tutti nota, i migranti verso le coste italiane sono aumentati.

“I 113 mila profughi sbarcati nel 2023 fino a fine agosto sono molti meno dei 181 sbarcati nel 2016 dopo la crisi siriana o dei 157 ucraini arrivati in tre mesi allo scoppio della guerra”, ha tenuto ad avvertire in questa settimana Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio. La Destra di governo non può dunque giustificarsi con un’emergenza mai vista per la evidente incapacità di non rispettare la promessa elettorale di fermare di sbarchi.

Solo in piccola percentuale arrivavano con le Ong

Proprio il governo Meloni, del resto, ci ha messo del suo per complicare la situazione. Osserva ancora Marco Impagliazzo: “Le immagini di un certo sovraffollamento sono dovute a scelte poco razionali di gestire l’immigrazione come emergenza e non come problema di lungo periodo”: E fa un esempio di attualità: “Le difficoltà della prima accoglienza, come a Lampedusa, esistono perché c’è stato uno smantellamento di questo sistema di accoglienza. Le strutture sono al collasso perché non c’è niente altro”.

Le difficoltà di gestire la prima accoglienza sono accresciute anche per le limitazioni all’attività delle navi delle Ong imposte con il decreto legge del 29 dicembre scorso. La collaborazione delle Ong, ora tronfiamente rifiutata dal governo Meloni., aveva consentito in passato una più ordinata gestione degli approdi proprio da parte dello Stato. In maggiore difficoltà sono anche i Corpi dello Stati che operano in mare.

Il tutto sulla base di una falsificazione propagandistica non solo relativa all’inesistente attrazione delle migrazioni da parte delle navi Ong, ma anche in merito al pero che queste navi avevano nei recuperi e nei salvataggi. Si trattava, ancor prima del decreto di dicembre, di un peso limitatissimo e ben noto: negli anni tra il 2018 e il 2022 tra l’84 e l’88 per cento di migranti erano giunti nei porti italiani o con imbarcazioni “proprie” o con imbarcazioni dello Stato italiano; le navi delle Ong avevano trasportato una percentuale di migranti oscillante tra il 12 e il 16 per cento.

C’è dunque consapevolezza da parte del governo nel non affrontare le difficoltà della prima accoglienza.

La drammatica alternativa per i migranti

La scelta della Destra di governo la possiamo leggere nelle parole del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi il 27 febbraio in prefettura a Crotone dopo la tragedia in mare di Cutro.

Quello dei migranti “è un tema di grande complessità. L’unica vera cosa che va detta è: non devono partire. Non si può immaginare che ci siano alternative da mettere sullo stesso piano al fatto che, quando si è in queste condizioni, non bisogna partire. Lanciamo ai territori da cui partono queste persone un messaggio etico prima di tutto: non bisogna partire”. “Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo aspettarmi dal luogo in cui vivo ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso”, ha aggiunto il responsabile del Viminale rispondendo alla domanda di un cronista.

Come se chi muore o, è disperso o per fortuna è disperatamente salvato sulle coste italiane non fugga dalla guerra o da paesi dove la democrazia non è tutelata o da regioni dove la carestia alimentare dura anni. Come se ci fossero persone irresponsabili che mettono a rischio la loro vita e quella dei propri figli e non genitori che tentano di salvarla e di darle un futuro. Come se l’alternativa a partire non fosse morire.

10 settembre 2023

In copertina

Disegno dalla pagina Insieme senza muri.