Repubblica e Chiesa in ascolto del loro profeta

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Don Lorenzo Milani onorato a Barbiana dal presidente Sergio Mattarella e dal cardinale Matteo Zuppi nel centenario della nascita.

“Calenzano e Barbiana sono diventati patrimonio dell’umanità e riserva civica di democrazia per il nostro Paese. Scuola, lavoro, economia, politica e società si tengono sempre insieme”. La pieve di San Donato a Calenzano e la pieve di Barbiana a Vicchio, citate dal presidente dei vescovi italiani mons. Zuppi, sono le due parrocchie della diocesi di Firenze in cui Don Lorenzo Milani è stato parroco e dove ha aperto una scuola popolare serale e poi una scuola di avviamento per i ragazzi contadini e operai.

A Barbiana il cardinale Matteo Zuppi è sabato 27 maggio per dare avvio all’anno centenario della morte di Don Milani. È la Chiesa italiana che viene ad ascoltare un suo profeta. Era stata la Chiesa nel dicembre 1958 a chiedere, con un decreto del Sant’Uffizio, il ritiro dalle librerie, perché ne era inopportuna la lettura, di “Esperienze pastorali”, il primo libro di Don Milani e l’unico che porta la sua firma, in cui chiedeva proprio alla Chiesa di rinnovarsi profondamente. Formalmente quel decreto è stato considerato superato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (l’ex Sant’Uffizio) sul finire del 2013, dopo 56 anni.

A Barbiana sabato 27 maggio c’è anche il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. “Un grande italiano che, con la sua lezione, ha invitato all’esercizio di una responsabilità attiva”, dice di Don Milani e cita “Quel primato della coscienza responsabile, che spinse don Milani a rivolgere una lettera ai cappellani militari, alla quale venne dato il titolo L’obbedienza non è più una virtù e che contribuì ad aprire la strada a una lettura del testo costituzionale in materia di difesa della Patria per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza”. Il Presidente Mattarella fa questa citazione per onorare un debito che la Repubblica ha con Don Lorenzo Milani: per quella lettera del 1965 ai confratelli cappellani don Lorenzo è stato incriminato e rinviato a giudizio per apologia di reato; l’assoluzione in primo grado “perché il fatto non costituiva reato” non piacque al pubblico ministero e il processo in Corte d’appello finì con la condanna di quella lettera, anche se nel frattempo Don Milani era morto.

Non c’è comunque bisogno di riconciliazione tra don Lorenzo Milani e la sia Chiesa, tra Don Lorenzo Milani e la sua Repubblica: questo prete fiorentino non era un ribelle, ma un profeta.

“Non mi ribellerò mai alla Chiesa – scrive il priore di Barbiana in una lettera dell’ottobre 1958 – perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa”. E nel maggio dell’anno dopo, in un’altra lettera, fa sapere: “La storia la insegna Dio e non noi e l’unica cosa cui ambisco è di capire il suo disegno man mano che lui lo svolge. Il turbamento è una grande grazia di Dio. Ma anche l’equilibrio e la serenità sono grandi grazie di Dio”.

Quanto alla Repubblica, ai giudici che nell’autunno del 1965 dovevano processarlo per apologia di reato, scrive: “La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede”.

Sergio Mattarella, presidente della Repubblica

La scuola motore di giustizia e di uguaglianza

Ricordiamo oggi, nel centenario della nascita, don Lorenzo Milani.

È stato anzitutto un maestro. Un educatore. Guida per i giovani che sono cresciuti con lui nella scuola popolare di Calenzano prima, e di Barbiana poi.

Testimone coerente e scomodo per la comunità civile e per quella religiosa del suo tempo. Battistrada di una cultura che ha combattuto il privilegio e l’emarginazione, che ha inteso la conoscenza non soltanto come diritto di tutti ma anche come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana. (…)

Era stato mandato qui a Barbiana, come sappiamo, in questo borgo tra i boschi del Mugello – con la chiesa, la canonica e poche case intorno – perché i suoi canoni, nella loro radicalità, spiazzavano l’inerzia. (…)

In tempi lontani dalla globalizzazione e da internet, da qui, da Barbiana – allora senza luce elettrica e senza strade asfaltate – il messaggio di don Milani si è propagato con forza fino a raggiungere ogni angolo d’Italia; e non soltanto dell’Italia. (…)

Il motore primo delle sue idee di giustizia e di uguaglianza era appunto la scuola. La scuola come leva per contrastare le povertà. Anzi, le povertà.

Non a caso oggi si usa l’espressione “povertà educativa” per affermare i rischi derivanti da una scuola che non riuscisse a essere veicolo di formazione del cittadino.

La scuola per conoscere. Per imparare, anzitutto, la lingua, per poter usare la parola. “Il mondo – diceva don Milani – si divide in due categorie: non è che uno sia più intelligente e l’altro meno intelligente, uno ricco e l’altro meno ricco. Un uomo ha mille parole e un uomo ha cento parole”.

Si parte con patrimoni diversi. Da questa ansia si coglie il suo grande rispetto per la cultura. La povertà nel linguaggio è veicolo di povertà completa, e genera ulteriori discriminazioni.

La scuola, in un Paese democratico, non può non avere come sua prima finalità e orizzonte l’eliminazione di ogni discrimine. (…)

Il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito. Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto, e anche per non far perdere all’Italia talenti; preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito.

I suoi ragazzi non possedevano le parole. Per questo venivano esclusi. E se non le avessero conquistate, sarebbero rimasti esclusi per sempre. Guadagnare le parole voleva dire incamminarsi su una strada di liberazione. (…)

Al pari di tanti curati di montagna che hanno badato alle comunità loro affidate, Don Milani non si è sottratto. Era giovane. Chiedeva ai suoi ragazzi di non farsi vincere dalla tentazione della rinuncia, dell’indifferenza. (…)

Il suo “I care” è divenuto un motto universale. Il motto di chi rifiuta l’egoismo e l’indifferenza.

A quella espressione se ne aggiungeva un’altra, meno conosciuta. Diceva: “Finché c’è fatica, c’è speranza”.

La società, senza la fatica dell’impegno, non migliora. Impegno accompagnato dalla fiducia che illumina il cammino di chi vuole davvero costruire.

E don Lorenzo ha percorso un vero cammino di costruzione. E gli siamo riconoscenti.

Il testo integrale del discorso del Presidente Sergio Mattarella a Barbiana

Foto: Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Barbiana, depone un cuscino di fiori sulla lapide don Lorenzo Milani (foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica): Segretariato generale della Presidenza della Repubblica

Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana

C’è il nostro indirizzo sulla “Lettera a una professoressa”

Tutti dobbiamo leggere di nuovo “Lettera a una professoressa” e ricordarci che è indirizzata anche a noi. Accettiamo il rigore, l’intransigenza di don Milani. Non è eccesso, ma intelligente amore, evangelico e umano, che aiuta a capire da che parte stiamo e a verificare senza sconti dove siamo stati. E capirlo ci toglie qualche giustificazione ipocrita, ci fa comprendere le omissioni, la falsità della neutralità e ci aiuta a scegliere.

(…) Egli ci mette di fronte alle nostre responsabilità di ruolo e di paternità, ci chiede di farci carico di chi è più fragile e non di fornirgli istruzioni per l’uso senza aiutarlo, sistema che fa sentire a posto chi può sempre dire “io lo avevo detto” ma senza che si sia mai dato da fare per aiutare.

Don Milani ci costringe tutti a venire ancora in questo “non luogo” da dove capiamo i nostri luoghi. Barbiana è un piccolo universo che ci fa vedere tutti i luoghi dei bambini di sempre e di oggi, i figli delle tante Barbiana nascoste nelle case delle periferie o nei campi profughi, dove accettiamo crescano migliaia di bambini senza futuro e senza scuola. (…)

Don Milani crede che essi possano essere quello che sono e che questo può essere raggiunto solo grazie ad una scuola che li difende più di qualsiasi altra maestra, una scuola che non certifica il demerito ma che garantisce a tutti il loro merito, le stesse opportunità perché non taglia la torta in parte uguali, quando chi deve mangiare non è uguale. Perché la scuola, scriveva, «siede tra il passato e il futuro». E la sfida del futuro inizia nella scuola.

Sentiamo la ferita che le disuguaglianze sono aumentate in questi venti anni, come l’abbandono scolastico. «Ci sarà sempre l’operaio e l’ingegnere, non c’è rimedio. Ma questo non importa affatto che si perpetui l’ingiustizia di oggi per cui l’ingegnere debba essere più uomo dell’operaio (chiamo uomo chi è padrone della sua lingua). Questo non fa parte delle necessità professionali, ma delle necessità di vita d’ogni uomo dal primo all’ultimo che si vuol dir uomo».

La parola per lui era sacra e profana insieme, perché è quella che ci rende immagine e somiglianza di Dio.

La sua è stata una vita brevissima, alla quale la Chiesa in Italia e tutto il nostro Paese devono molto. (…)

Don Lorenzo ha trasformato un esilio in un esodo, ha preso per mano la Chiesa, rivendicando il suo servizio agli ultimi come dimensione spirituale e servizio ecclesiale.

«Speravo di non esser più un “genio isolato e superiore”, ma una intelligente rotellina fra le tante della grande macchina di Dio».

Oggi ricorda alla Chiesa che le basta il Vangelo e l’amore che genera amore e alla Repubblica che deve ancora «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» perché l’uguaglianza è il suo “compito” da non tradire.

Il testo integrale del discorso del cardinale Matteo Zuppi a Barbiana

27 maggio 2023