L’urgenza di un armistizio globale, come quello che si rievoca nella Giornata del 4 Novembre.
Il ruolo dei militari italiani nelle forze di interposizione e di pacificazione.
È la memoria che ci riunisce ogni 4 Novembre.
Nel Parco della Rimembranza è iniziata la nostra Giornata dell’Unità nazionale e della Forze armate.
In chiesa, nella messa della comunità, il suffragio ha rinsaldato i legami tra le persone oltre il tempo.
Ora siamo qui al monumento eretto a quotidiano ricordo dei caduti a causa delle guerre.
Lo facciamo da oltre un secolo, ed è memoria della storia e della vita di Pontelongo.
Non solo di Pontelongo. Di cimitero in cimitero, di chiesa in chiesa, di monumento in monumento, di paese in paese è storia e vita di una Nazione.
Ed è la ragione per cui sono qui con voi a sottolineare la condivisione dell’Associazione nazionale combattenti e reduci e a portarne il saluto a chi vi rappresenta: il sindaco Lisa Bregantin, e a chi vi interpreta: le associazioni combattentistiche.
Un messaggio di drammatica attualità
“Siamo l’Italia” è il messaggio che il Ministero della Difesa propone per questa celebrazione.
Il messaggio riassume natura e compito delle Forze armate della Repubblica: espressione della comunità nazionale e suo strumento.
Sollecita anche ciascuno di noi ad averne consapevolezza, in modo che tutta la comunità si senta rappresentata dai nostri militari: per quello che hanno dato nel corso della storia – e a cui ci richiama proprio la Giornata odierna – e per quello che stanno facendo in questo tempo.
“Siamo l’Italia” ora; proprio ora, ci assicurano le nostre Forza Armate. È un messaggio di drammatica attualità in queste settimane.
In una delle guerre che stanno insanguinando le cronache quotidiane sono coinvolti i circa mille soldati italiani inquadrati nella missione di pace dell’Unifil nel sud del Libano.
A loro in particolare, ma anche a tutti i militari italiani impegnati nelle varie missioni di interposizione e di pacificazione, è giusto dedicare questa Giornata dell’Unità nazionale.
Scegliere da che parte stare
Come sempre nella loro storia, anche nell’attuale tragedia medio-orientale i militari italiani non solo interpretano le esigenze essenziali della comunità nazionale, ma con la loro azione contribuiscono a scegliere da che parte stare.
“Emerge ora la necessità di cessare il fuoco e di sollecitare una iniziativa sia all’ONU sia con i Paesi contributori alla missione per rinforzare UNIFIL, in modo da renderla più efficace rispetto al fine per cui è stata istituita”.
Così, una settimana fa, il Consiglio supremo di difesa presieduto da Sergio Mattarella, ha sintetizzato le scelte necessarie.
Cessare il fuoco, rafforzare le Nazioni Unite: oltre che necessarie, sono anche scelte possibili? La ricorrenza storica cui ci riporta la celebrazione odierna aiuta a rispondere.
La memoria è decisiva per il futuro
Il 4 novembre è memoria di un armistizio, quello padovano di Villa Giusti.
Il 4 novembre 1918 i protagonisti decisero che era troppo quello che era successo, che non si poteva continuare così.
Non era ancora la pace, ma non era più la guerra; non era ancora un nuovo ordine europeo, ma non era più il disordine delle trincee.
Ecco come la memoria non tiene viva solo la storia. La memoria – quella che continua a riunirci anche in questo giorno – è decisiva anche per assicurarci il futuro.
Perdere la memoria di quello che succede con la guerra è, infatti, un rischio che non possiamo correre.
“È accaduto, quindi può di nuovo accadere”: l’ammonimento dello scrittore Primo Levi, riferito alle barbarie della Seconda guerra mondiale, è di stringente attualità con i conflitti in atto, nei quali neppure il diritto umanitario internazionale trova applicazione.
Più che in molti anni precedenti, celebrare questo 4 Novembre è anche far crescere tra noi cittadini la consapevolezza che il principale, urgentissimo obiettivo cui l’Italia, non da sola ovviamente, è chiamata a contribuire, è intanto la tregua, è l’armistizio: in Medioriente come in Ucraina, nel Corno d’Africa come in Iraq.
Le guerre, infatti, si alimentano da sole; crescono come erbe infestanti. È la pace che richiede di essere seminata e coltivata.
Il fallimento della Società delle Nazioni
Provarono a coltivarla proprio dopo quell’armistizio di Villa Giusti, dopo la conclusione della Grande Guerra.
Nel 1920 la Società delle Nazioni fu l’anticipazione poco fortunata dell’Onu, destinata a nascere dopo una seconda, più terribile, guerra mondiale. La Società delle Nazioni non riuscì infatti a far superare le crisi internazionali degli Anni Trenta e l’umanità visse tragedie di cui anche i monumenti di Pontelongo conservano i nomi.
Quel fallimento della Società delle Nazioni contiene un promemoria per l’oggi.
L’attacco alle forze Unifil in Libano è – tra l’altro – l’espressione di una crescente disistima per le organizzazioni internazionali e multilaterali. Si diffonde la presunzione che sia meglio stare da soli, che non porti a nulla provare e riprovare ad avere obiettivi comuni e trovare insieme soluzioni di cui condividere i vantaggi e i necessari limiti.
Le Nazioni Unite sono messe da parte. La stessa Unione Europea è più popolare fuori che dentro i propri confini.
Contemporaneamente si stanno alimentando focolai di crisi in diverse aree della Terra. Le più tragiche sofferenze colpiscono certamente i popoli direttamente interessati, ma l’interconnessione planetaria in cui viviamo determina pesanti conseguenze anche fuori dalle aree di crisi: nei movimenti delle persone, ad esempio, o nello scambio delle materie prime.
Ciò richiederebbe non un disimpegno dalle organizzazioni multilaterali, ma un loro aggiornamento e rafforzamento.
In questi focolari di guerra, ancora una volta si conferma che strumento essenziale per ridurre le crisi e creare le condizioni per il loro superamento sono proprio le missioni militari internazionali, come quelle italiane, specializzate nella normalizzazione e stabilizzazione delle aree di crisi.
Una ragione in più per metterle al centro della celebrazione di quest’anno.
Montecassino e la canzone popolare polacca
Riconoscere la centralità dei Corpi militari di pace per la sicurezza mondiale offre lo spunto per allargare la memoria e la riconoscenza – caratteristiche di questa Giornata – anche a centinaia di migliaia di militari non italiani.
Sono stati circa trecentocinquantamila i soldati, venuti da altri Paesi anche molto lontani, morti nell’ultima guerra per liberare l’Italia e il mondo dall’incubo del nazifascismo. “Quei ragazzi, che riposano sotto le lapidi bianche dei cimiteri alleati che costellano la nostra Penisola, li sentiamo come nostri caduti, come nostri figli”, li ha ricordati il Presidente Sergio Mattarella.
Sulla sommità del Sacrario militare di Montecassino – il luogo della più lunga e distruttiva battaglia del 1944 – c’è una stele con incise queste parole:
“Noi soldati polacchi, per la nostra e vostra libertà, abbiamo dato l’anima a Dio, i corpi al suolo d’Italia e i cuori alla Polonia”.
È successo tra l’inverno e la primavera di ottant’anni or sono. Quel sacrificio è però rimasto nella storia polacca, tanto da farne nasce una canzone popolare dal titolo “I papaveri rossi su Montecassino”. Nella sua ultima strofa si canta:
“Questa terra appartiene alla Polonia, / anche se lontana da qui, / perché la libertà si misura con le croci, / questo è l’unico errore della storia”.
Per non far sbagliare la storia
In questa Giornata anche a loro, doverosamente e con commozione, esprimiamo riconoscenza. La esprimiamo, provando a prendere l’impegno collettivo, perché “Siamo l’Italia”, a non far sbagliare ancora la storia.
Come in quel primo e attualissimo 4 Novembre 1918:
Viva la Pace,
Viva l’Italia.
Pontelongo, 3 novembre 2024
Il testo
Discorso di Tino Bedin alla celebrazione ufficiale del Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate 2024. Pontelongo, Monumento ai Caduti, in rappresentanza della Federazione provinciale di Padova dell’Associazione nazionale Combattenti e Reduci.
In copertina
Nell’illustrazione della fumettista Chiara Giorgi per la pagina del Gruppo regionale PD del Lazio il ricordo dalla strage di Nassiriya in Iraq, nella quale il 12 novembre 2003 furono uccisi 12 carabinieri, 5 militari dell’Esercito italiano e 2 civili del nostro contingente di pace.