La democrazia non si eredita

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La sola forma di governo non basta ad alimentare la vita democratica.

Speranze e paure cambiano con le generazioni e proprio grazie ai risultati della democrazia.

Il cattolicesimo sociale italiano è sempre stato vissuto dai suoi protagonisti prima come esperienza che come dottrina: profezia incarnata, su cui la comunità nazionale poteva far conto quando ne avesse avvertito il bisogno. È accaduto in particolare ad ogni passaggio d’epoca: nel 1919 dopo la Grande Guerra con Don Luigi Sturzo ed il Partito Popolare; nel 1943 con il Codice di Camaldoli mentre crollava il fascismo ma il nazismo non era sconfitto; nel 1948 con l’alfabetizzazione democratica della Dc prima con Alcide De Gasperi e più avanti con Aldo Moro.

Anche in questo inizio di millennio si moltiplicano i segni di un passaggio d’epoca: non verso il futuro ignoto, ma verso il passato tragicamente noto. L’umanità sembra aver ingranato la retromarcia.

Un “ostinato e creativo dovere”

Da Trieste, dove si sono ritrovati ai primi di maggio per prepararsi alla Settimana sociale dei cattolici in Italia, presidenti e responsabili delle aggregazioni laicali italiane hanno sottoscritto “un appello accorato per la pace ai leader dei Governi, ai rappresentanti delle istituzioni”. “In questa ora così terribile per il mondo sentiamo di essere chiamati a una conversione profonda e a dare un giudizio comune e chiaro: la Pace è il dovere della politica. Un ostinato e creativo dovere”.

La Settimana sociale Trieste ha tema “Al cuore della Democrazia”. Anche la democrazia è un “ostinato e creativo dovere”: proprio come la pace, va custodita e va continuamente rigenerata, in modo che ogni persona e ogni generazione la senta frutto della propria partecipazione e non solo come un’eredità.

La democrazia, infatti, non si eredita: lo stanno sperimentando ogni anno di più proprio le società che da più tempo e con maggiori successi si sono dotate di istituzioni democratiche. Anche in Italia il forte e crescente astensionismo elettorale e la diffusione di movimenti politici distanti dal sistema politico-istituzionale delineato dalla Costituzione repubblicana segnalano che il passaggio d’epoca a retromarcia innestata può condurre a forme di organizzazione e gestione del potere basate non sulla partecipazione ma sul mandato popolare diretto ad un capo.

La regressione è così ampia e diffusa in vari contesti mondiali che ha già generato una nuova parola per queste forme istituzionali: democrature, vengono definite; hanno varia origine e forme diverse; tutte però si caratterizzano per una forte riduzione della partecipazione.

Sembrava che bastassero i risultati

Hanno cominciato i cittadini a non partecipare alla scelta dei contenuti e degli interpreti della democrazia. Le istituzioni democratiche italiane non se ne sono preoccupate. Anzi, all’inizio del fenomeno hanno detto che l’astensionismo elettorale era… normale, che nelle democrazie occidentali gli elettori non era proprio tanti, che poteva anche essere un segno positivo: la gente non andava a votare perché stava bene così come viveva e non aveva nulla da chiedere. L’esercizio del voto che all’inizio della democrazia italiana era sia un diritto sia un dovere (chi non votava era “segnalato”) è stato trasformato in diritto individuale. Sembrava, allora, un passo avanti della democrazia; in realtà era la certificazione di istituzioni che si sentivano così sicure di se stesse da non ritenere indispensabile l’adesione delle persone.

È successo che la democrazia ha elevato di molto la dignità delle persone: nel lavoro, nei rapporti sociali, nella conoscenza. Lo ha fatto più e meglio di ogni altra forma di governo.

È successo che la democrazia ha allargato in maniera entusiasmante il destino delle persone: ha provato che era possibile vivere in pace; ha mostrato che i confini tra Stati non sono confini tra popoli; è riuscita a fare dell’Europa un’Unione.

È sembrato che bastasse a garantire per sempre una buona salute alla democrazia.

Ora vediamo che non basta, né in Italia né in molta parte delle società democratiche, tanto che nel novembre del 2016 Papa Francesco, parlando all’Incontro mondiale dei Movimenti popolari, aveva lanciato uno dei suoi avvertimenti profetici: “La democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino”.

L’accanimento delle riforme istituzionali

La constatazione, largamente condivisa, di una “crisi della democrazia” non sta tuttavia producendo riflessioni e sperimentazione sul “cuore” della democrazia, quello individuato dall’avvertimento di Papa Francesco.

L’astensionismo elettorale viene interpretato come un indicatore della insoddisfazione per la democrazia come forma di governo. Quasi esclusivamente su questa componente della democrazia si concentrano i progetti di cambiamento. Alcuni di questi progetti sono stati in anni recenti bocciati proprio da referendum popolari: al di là dei contenuti referendari, si è trattato di un “segnale” collettivo non colto dalla politica, tanto che altri progetti sono in discussione proprio in questi mesi nel Parlamento italiano. Questo accanimento sulle cosiddette “riforme istituzionali” è improduttivo e non privo di rischi: i cittadini sono infatti indotti a pensare che è la democrazia che non funziona.

La realtà è che essere forma di governo non basta alla democrazia; la democrazia è forte se vi si ritrova il suo cuore della sua comunità: speranze da costruire insieme, paure da superare insieme; speranze e paure che cambiano con le generazioni e proprio grazie ai risultati della democrazia.

5 maggio 2024

In copertina

L’illustrazione è della fumettista Chiara Giorgi per la pagina del Gruppo regionale PD del Lazio.