Non solo luoghi come meta dei pellegrini di speranza.

Tra i governi c’è chi prova a far vivere l’Anno santo.
Sono 32 i “luoghi giubilari” in diocesi di Padova. La Chiesa locale li propone come mete di pellegrinaggio sia comunitario sia individuale, nelle quali sarà concessa l’indulgenza giubilare secondo le indicazioni indicate da papa Francesco per il Giubileo 2025.
A Padova, come in tutte le Chiese locali, le mete del pellegrinaggio giubilare non sono solo luoghi; alle persone e alle comunità si propone di farsi pellegrini di speranza anche verso altre comunità e altre persone. Sono comunità e persone che hanno un loro volto e un loro nome.
- Progetti missionari a Pacaraima (Roraima, Brasile): il pellegrinaggio è coni popoli indigeni dell’area pastorale di Pacaraima così da sostenere la lotta pacifica in cui sono impegnati in difesa dei loro diritti e contro lo sfruttamento dei loro territori.
- Vi sia uguaglianza: la meta sono le parrocchie diocesane in pesante difficoltà economica, quale segno di unità della Chiesa di Padova.
- Cucine Economiche Popolari: la meta è la costruzione della nuova sede a Padova, per l’accoglienza e l’accompagnamento di persone in situazioni di grave vulnerabilità.
Da segni dei tempi a segni di speranza
Papa Francesco ha chiamato a coniugare “la dimensione spirituale del Giubileo, che invita alla conversione”, con l’impegno a rinnovare “gli aspetti fondamentali del vivere sociale”.
Nella Bolla Spes non confundit di indizione del Giubileo il Santo Padre ha poi individuato in molti aspetti della vita sociale segni dei tempi, “che chiedono di essere trasformati in segni di speranza”.
Sono questi “segni di speranza” ad illuminare le mete decisive del pellegrinaggio giubilare nel 2025; mete durature che si affiancano alle Porte sante di Roma e ai luoghi giubilari proposti dalle Chiese locali. Tra queste mete, fin dalla Bolla di indizione, Papa Francesco ne sceglie una: “Per offrire ai detenuti un segno concreto di vicinanza, io stesso desidero aprire una Porta Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita”.
Il “proclama” biblico del profeta Isaia
Alle quattro Basiliche Maggiori di Roma si è così aggiunto il carcere di Rebibbia. Qui nel giorno di Santo Stefano – dopo l’apertura dell’Anno santo nella notte di Natale – è stato vissuto il primo evento del Giubileo della speranza. “La prima Porta Santa – ha spiegato lo stesso Pontefice – l’ho aperta a Natale in San Pietro, ma ho voluto che la seconda Porta Santa fosse qui in un carcere. Ho voluto che ognuno di noi tutti che siamo qui, dentro e fuori, avessimo la possibilità anche di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non delude”.
San Pietro, Rebibbia, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, San Paolo fuori le Mura: l’allargamento a cinque delle… Basiliche maggiori con l’inclusione del carcere non è una “invenzione” di Papa Francesco. Fin dall’Antico Testamento il Giubileo aveva “origine” nelle prigioni. “Dichiarate santo il cinquantesimo anno e proclamate la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia» (Levitico 25, 8-10). “Il Signore […] mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore” (Isaia 61,1-2a).
Atti di governo “giubilari”
“Nelle parole del profeta Isaia, che il Signore Gesù fa proprie nella sinagoga di Nazareth all’inizio della sua vita pubblica, secondo il racconto tramandatoci dall’evangelista Luca (4,16-21), troviamo compendiato non solo il mistero del Natale da poco celebrato, ma anche quello del Giubileo che stiamo vivendo”, ha confermato Papa Francesco nell’incontro di inizio anno con gli ambasciatori di tutto il mondo.
Papa Francesco ha opportunamente scelto i destinatari di questo promemoria: sono persone che rappresentano i governi, ai quali direttamente si era già rivolta la Bolla giubilare: “Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi”.
Tra i governi c’è chi prova ad applicare proprio questa esperienza giubilare. Il presidente di Cuba Miguel Diaz-Canel a gennaio ha annunciato la graduale scarcerazione di 553 prigionieri, legando la decisione direttamente all’appello del Papa. All’inizio dell’anno il presidente Emmerson Mnangagwa ha firmato la legge che abolisce la pena di morte nello Zimbabwe, in Africa. Roy Cooper ha concluso il suo mandato di governatore in North Carolina (Stati Uniti) trasformando in carcere a vita le 15 condanne a morte pendenti nel suo Stato. Prima di lui, sempre negli Stati Uniti, a poche ore dall’inizio ufficiale del Giubileo il presidente Joe Biden aveva commutato in ergastolo la condanna a morte per 37 detenuti nelle carceri federali.
La diplomazia del perdono
Decisioni politiche certamente, capaci tuttavia di richiamare una delle componenti religiose – assieme al pellegrinaggio – più caratteristiche del Giubileo: l’indulgenza.
Il pellegrinaggio è – fin dal primo Giubileo indetto da Papa Bonifacio VIII – ricerca della “grande indulgenza”. È una ricerca vissuta prevalentemente dalle singole persone, nel rapporto individuale con la Misericordia divina. L’indulgenza è, tuttavia, esigente, non solo misericordiosa; anche a livello personale: “Tale esperienza piena di perdono non può che aprire il cuore e la mente a perdonare. Perdonare non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia, il perdono può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta” (Spes non confundit, 23).
La “grande indulgenza”, cioè farsi perdonare e perdonare, è – in questo tempo di pandemie, migrazioni e guerre – un bisogno e una speranza che di persona in persona diventano comunitarie. La speranza che il bisogno collettivo genera è così profonda da implorare una “grande indulgenza” politica.
In quell’incontro con gli ambasciatori il Papa se ne è fatto portavoce e ha illustrato “alcuni tratti di una diplomazia della speranza, di cui tutti siamo chiamati a farci araldi, affinché le dense nubi della guerra possano essere spazzate via da un rinnovato vento di pace. […] Una diplomazia della speranza è pure una diplomazia di perdono, capace, in un tempo pieno di conflitti aperti o latenti, di ritessere i rapporti lacerati dall’odio e dalla violenza, e così fasciare le piaghe dei cuori spezzati delle troppe vittime”.
È inevitabile, infatti, che “la dimensione spirituale del Giubileo, che invita alla conversione, si coniughi con questi aspetti fondamentali del vivere sociale, per costituire un’unità coerente”, scriveva Papa Francesco già tre anni fa annunciando il Giubileo 2025.
12 gennaio 2025
In copertina
Infografica del Partito Democratico nazionale.