• Il Giubileo intercetta una condizione diffusissima di cambiamento

• La speranza non può più essere pensata come una semplice attesa •
Tra gli italiani il bisogno di speranza è diffusissimo. A metà gennaio l’Istituto Demopolis ha reso noti i risultati di una ricerca sul tema: “Gli italiani e le sfide della Chiesa di Papa Francesco nell’anno del Giubileo”. La domanda se esista una crisi della speranza nella società contemporanea registra il 75 per cento di risposte affermative (il 16 per cento risponde “no” e il 9 “non sa”).
Sono numeri che confermano la possibilità di realizzare quell’alleanza sociale per la speranza, che è evocata dalla Bolla pontificia Spes non confundit, con la quale Papa Francesco ha indetto nella festa dell’Ascensione dell’anno scorso il Giubileo ordinario del 2025.
Certo: “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé”, constata Papa Francesco nella Bolla giubilare.
“La scelta, davvero provvidenziale, del Giubileo, del tema giubilare e le parole del Papa, hanno colto – mi pare – una sete diffusa tra tante persone, che non trovano o non sanno come cercare risposte. È vero che facilmente vince la rassegnazione, ma in realtà, lo sappiamo, in ogni uomo c’è una speranza e non può vivere senza risposta”, ha osservato anche il cardinale Matteo Zuppi nella recente del Consiglio episcopale permanente.
I contenuti dell’alleanza
Non si tratta, però, solo di numeri. La ricerca di Demopolis fa emergere contenuti e finalità di questa alleanza.
Il 70 per cento degli italiani spera che, nel corso del 2025, cresca l’impegno per la pace in tutte le aree di guerra. La maggioranza assoluta spera che sia possibile “combattere le cause strutturali della povertà e della fame” (58 per cento) e rendere produttivo “l’impegno contro le diseguaglianze” (51 per cento). Anche altre speranze vengono misurate: “attenzione alla dignità di ogni persona” (44 per cento), “tutela dell’ambiente” (40) e “impegno per la fratellanza universale” (31).
Sono speranze che la Spes non confundit individua come “i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza”. E, infatti, il loro elenco è in gran parte sovrapponibile ai “segni di speranza” che Papa Francesco propone come contenuto del Giubileo.
Ancora mons. Zuppi ha invitato i suoi confratelli vescovi a leggere “i segni dei tempi e trasformarli in segni di speranza”, a “richiamare l’attenzione sui segni di speranza già presenti nelle nostre comunità e che attendono di essere ulteriormente custoditi e sviluppati”.
Organizzare la speranza
Per quanti scelgono di essere Peregrinantes in Spem, come li definisce Papa Francesco nel motto del Giubileo ordinario di quest’anno, non è da credenti aspettare che “Dio ce la mandi buona”; come, per credenti e non credenti, non è un affidarsi alla fortuna. È la scelta obbligata “per evitare che essa diventi un anestetico”, ci hanno avvertiti i vescovi italiani a conclusione del loro Consiglio permanente di gennaio.
“La speranza – insistono i vescovi italiani – non può più essere pensata come una semplice attesa, ma va coniugata con la responsabilità. È tempo di organizzare la speranza”.
Con un’avvertenza che il presidente dei vescovi italiani ha ritenuto necessario premettere alle scelte e alle iniziative della Chiesa italiana.
“Questo – dice il cardinale Matteo Zuppi – non è un piano pastorale, ma è qualcosa di più: la creazione di uno stato d’animo, di una coscienza decisiva: non è possibile separare la propria salvezza dalla ricerca di quella degli altri. Di fronte a tanta terribile sofferenza del mondo, alle guerre e alla povertà, al ripiegamento individualistico, sentiamo il motivo del mandato missionario, la sua necessità e urgenza. È il nostro oggi!”.
Ricevere la terra da capo
Il motto giubilare, più compiutamente nella sua versione latina Peregrinantes in Spem, sintetizza fin dall’inizio dell’Anno santo che “organizzare la speranza” è – contemporaneamente – mettere sé stessi nelle condizioni di sperare e farsi carico di diffondere la speranza nella comunità.
“Attraversare la Porta Santa non è un atto magico, è un simbolo, un simbolo cristiano (…); un segno che esprime il desiderio di ricominciare; e questa è una bella saggezza: ricominciare, ogni giorno ricominciare. Sempre andare un passo avanti”. “Questa è la parola; ricominciare, ricevere la terra da capo, come la prima volta”. A Giubileo iniziato il Santo Padre ha insistito in varie occasioni su questa disposizione – sia personale che comunitaria – nell’esperienza del Giubileo e del pellegrinaggio.
Microcredito sociale
Per “ricevere la terra da capo” è sì necessario essere personalmente disponibili, ma è indispensabile essere in molti, possibilmente in tutti.
Solo con l’apporto di molti, possibilmente di tutti, sarà un segno permanente del Giubileo 2025 – ad esempio – il progetto di microcredito sociale a favore di quanti hanno difficoltà ad accedere al credito. Mi fido di noi (questo il suo nome) è stato lanciato da Caritas italiana e fatto proprio dai vescovi, in occasione dell’Anno Santo. Si propone – confermano i vescovi – di restituire speranza e dignità attraverso l’accompagnamento e il coinvolgimento della comunità ecclesiale. È prevista la creazione di un fondo, alimentato grazie al contributo della Conferenza Episcopale Italiana, della Caritas Italiana, delle Chiese locali e al sostegno di fondazioni, associazioni, imprese e cittadini.
2 febbraio 2025
In copertina
L’illustrazione è della fumettista Chiara Giorgi per la pagina del Gruppo regionale PD del Lazio.