Sergio Mattarella: saper apprendere la lezione dei fatti e saper fare passi avanti.

Francesco Moraglia: condannare la scelta di rischiare in nome o del profitto.
È il cimitero monumentale di Fortogna il luogo è cui è giusto vivere il 60° anniversario della strage del Vajont. Nella frazione di Longarone, in questo giardino su cui poggiano 1.910 cippi marmorei bianchi (tanti quanti i morti travolti dall’acqua della diga il 9 ottobre 1963) prima la Repubblica e poi la Comunità cristiana si ritrovano non solo a fare memoria, ma a dare senso al presente.
Il peso di gravi responsabilità umane
Alle 11 il Presidente Sergio Mattarella cammina da solo tra i cippi delle vittime del disastro. Davanti ai cippi e davanti al Presidente 487 bambini e ragazzi cantano, guidati da Paolo Fresu, Stelutis Alpinis e tengono alto con le braccia ciascuno un foglio con il nome di uno dei 487 coetanei morti sessant’anni prima.
Più tardi il presidente Mattarella propone una riflessione comunitaria sulla tragedia. Ne ricaviamo due passaggi.
“Siamo di fronte a due quadri: quello delle Prealpi Carniche. E la diga, creazione artificiale. Entrambi, oggi, silenti monumenti alle vittime, a quelle inumate nei cimiteri, a quelle sepolte per sempre nei greti dei torrenti, sulle pendici: donne, uomini, bambini. (…)
“La tragedia che qui si è consumata reca il peso di gravi responsabilità umane, di scelte che venivano denunziate, da parte di persone attente, anche prima che avvenisse il disastro. Assicurare una cornice di sicurezza alla nostra comunità significa saper apprendere la lezione dei fatti e saper fare passi avanti.
“L’interazione dell’uomo con la natura è parte dell’evoluzione della natura stessa. Perché l’uomo fa parte della natura, ma non deve diventarne nemico.
“Non si tratta di un tema di esclusivo carattere ecologico. Ce lo ha rammentato, pochi giorni addietro, anche Papa Francesco con la sua ultima esortazione. Si tratta di saper porre attenzione e saper governare, con lungimiranza, gli squilibri che interpellano, mettendo in discussione, l’umanità e i suoi destini”.
Il grido del profeta biblico Giona
Nel pomeriggio alle 16 è di nuovo il cimitero di Fortogna il luogo in cui ritrovarsi per il suffragio. Il patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia e il vescovo di Belluno Feltre mons. Renato Marangoni concelebrano la santa messa.
L’omelia del patriarca di Venezia riprende il Salmo responsoriale:
“Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha risposto; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce. Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare, e le correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati» (Gio 2,3-4).
Commenta mons. Francesco Moraglia:
“La preghiera del salmo responsoriale, tratto dal libro del profeta Giona, pare evocare quella tragica notte quando, dalle pendici del monte Toc, si staccò una massa enorme di materiale roccioso che cadde nel sottostante invaso. L’immagine è quella dei flutti e delle onde impetuose che travolgono, distruggono e recano morte”.
Francesco Moraglia
I tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati
Siamo nel cimitero di Fortogna, a 60 anni dalla tragica notte del 9 ottobre 1963, per celebrare in suffragio delle vittime; fra di esse moltissimi i giovani e i bambini. (…)
Questo luogo ci ricorda una tragedia nazionale in cui morirono duemila persone perché altre persone non seppero o non vollero calcolare il rischio di una determinata situazione e scelsero di non fermarsi, accettando un rischio che, alla fine, risultò fatale. Si volle osare, andando oltre; si preferì il risultato da conseguire alle vite umane verso le quali si avevano specifiche responsabilità. (…)
Monte Toc, la montagna che cammina
L’Onu, nel 2008, ha definito la tragedia del Vajont un esempio di “disastro evitabile”. Eloquenti segni premonitori non mancarono prima del 9 ottobre 1963 – nel marzo del 1959 e nel novembre del 1960 – quando vi furono frane e cedimenti contenuti che avrebbero richiesto più prudenza, essendo in gioco la vita degli abitanti della vallata.
Il monte Toc – soprannominato dalla gente del posto la “montagna che cammina” per la sua tendenza a subire frane – non può, quindi, essere considerato il colpevole di questa tragedia. L’evento non era imprevedibile, la montagna si fece sentire e diede i suoi segnali affinché la tragedia potesse essere evitata. (…)
Mai sottovalutare la natura e i suoi equilibri!
Celebrare questo triste anniversario è qualcosa di dovuto ai morti e ai sopravvissuti perché tragedie come il Vajont non solo non possono essere dimenticate ma neanche, col passare del tempo, devono attutirsi nella memoria collettiva. Si tratta di condannare la scelta di rischiare in nome o del profitto o di una impresa da guinness dei primati, svincolando un progetto dall’etica che comporta dapprima il senso del limite e poi il rispetto delle persone e della vita umana.
Non bisogna mai sottovalutare la natura e i suoi equilibri!
Bisogna chiedere agli uomini di scienza e ai tecnici di avere il coraggio di non osare oltre il limite, insomma, di sapersi fermare e di imparare a misurare i rischi quando c’è in gioco la vita umana. È necessario oggi dare ancora maggiore priorità all’etica perché – più di sessant’anni fa – scienza e tecnica consegnano all’uomo un potere infinitamente più grande di distruzione e morte su vasta scala.
La tragedia del Vajont sia anche oggi un monito a non giocare con gli equilibri della natura o sottovalutandoli o, comunque, ritenendoli – come si fece allora – gestibili dall’intelligenza umana; i fatti dicono che non è così che avviene. (…)
Doveva servire al boom economico
Il dramma che si è consumato 60 anni fa, nella vita di tanta povera gente, in queste valli fra Veneto e Friuli, è così un monito sempre attuale.
Il megaprogetto del “grande Vajont”, mosso da interessi economici enormi, avrebbe dovuto garantire risorse energetiche per l’incipiente stagione del boom economico ed era connesso alla futura nazionalizzazione delle aziende private che producevano energia. Erano gli anni Cinquanta e Sessanta: di quel progetto rimangono duemila morti, paesi distrutti e il fallimento di un sogno ingegneristico che doveva entrare nel Guinness dei primati.
Quel progetto non fu fermato, appunto, nonostante i ripetuti segnali premonitori che furono considerati insufficienti di fronte ad altri interessi in gioco. Se fossero stati accolti, mettendo su un piatto della bilancia il rispetto delle vite umane e sull’altro piatto l’espansione economica del Paese, non avremmo avuto la tragedia del Vajont: sarebbe servita un’altra logica.
Buoni samaritani nel tempo della scienza e della tecnica
Il bene delle singole persone e il bene comune devono orientare le scelte di chi agisce, soprattutto in ambito pubblico. Una domanda deve interpellarci sempre: cosa siamo disposti a sacrificare per tutelare e promuovere l’uomo e il creato?
La vera grandezza dell’uomo consiste non nello scrivere il proprio nome nel libro del Guinness dei primati o nel produrre un reddito sempre più grande, ma nel dare risposte che siano eticamente fondate.
Anche così si diventa “buoni samaritani” (cfr. Lc 10,25-37) nel nostro tempo, che è il tempo della scienza e della tecnica, e nei nostri territori, perché solo così si rispetta e si ama il prossimo. (…)
Longarone, 9 ottobre 2023
Immagine di copertina
Longarone – Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella depone una corona di fiori al cimitero monumentale “Vittime del Vajont”, 9 ottobre 2023. (Foto di Paolo Giandotti – Ufficio Stampa per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)
Testi
Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia in occasione del 60° anniversario del Vajont.