A Padova la presentazione del libro-intervista di Francesco Cassandro.
Ministro dell’Istruzione tra il 1962 e il 1968; è uno dei Padri costituenti.
Con il libro “Luigi Gui, il ministro della scuola media gratuita e per tutti” (166 pagine, Alba Edizioni) il giornalista padovano Francesco Cassandro ha voluto ricordare i sessant’anni dell’attuale scuola media e onorare il suo “fondatore”. Il libro viene presentato ai padovani mercoledì 25 ottobre alle ore 17.30 nella Sala Paladin del municipio di Padova su iniziativa della Società Dante Alighieri.
Il padovano Luigi Gui (1914-2010), uno dei Padri costituenti, è stato anche ministro della Pubblica istruzione tra il 1962 e il 1968). Si devono a lui la legge 31 dicembre 1962, n. 1859, che istituì la scuola media unica prevedendo l’istruzione obbligatoria per 8 anni, fino ai 14 anni d’età, e la legge 18 marzo 1968, n. 444, che istituì la scuola materna statale.
L’attualità di una generazione
Il libro è una lunga intervista a Luigi Gui, che Francesco Cassandro aveva scritta e pubblicata già nel 1994. “Rileggendola ho visto che a 30 anni di distanza manteneva la freschezza e l’attualità di una bella storia: quella di un uomo, di un’epoca, di una generazione e di un Paese che avevano vinto una dittatura, conquistato la libertà e la democrazia, passando dalle rovine post-belliche ad un’economia tra le più importanti del mondo”, spiega Cassandro.
Il libro ospita anche le testimonianze dei figli Benedetto e Daniele Gui, e i contributi di Tino Bedin (che pubblichiamo qui sotto), Corrado Belci, Paolo Giaretta e Dino Scantamburlo.
25 ottobre 2023
Tino Bedin
Il filo della politica è indispensabile per tessere la comunità
I giorni in cui l’Italia fa memoria della Liberazione sono un anniversario anche per Luigi Gui: “Per Padova fu il 28 aprile. Da quel momento cominciai ad occuparmi intensamente del partito”, aveva raccontato a Francesco Cassandro.
È il 23 aprile 2007. Gui si avvia ai 92 anni e l’età infiacchisce le gambe: parla infatti da seduto. La voce è sempre forte e chiara, allenata in comizi, aule parlamentari e congressi di partito. Descrive il 28 aprile 1945 a Padova ed è preciso nelle immagini della città di allora, perché non sono solo ricordi. Oggi come allora quelle immagini servono a Luigi Gui per guardare avanti. È l’Italia di oggi che gli interessa; collega la Liberazione, l’antifascismo e la democrazia del 25 aprile al presente da accettare, al futuro da costruire.
Ad una platea di novantenni
Sono tutti suoi coetanei, novantenni, quelli che lo ascoltano: una platea di carrozzine nella sala centrale dell’Istituto di Riposo per Anziani di Padova in via Beato Pellegrino.
Da presidente dell’IRA l’avevo invitato a concludere il percorso progettato con il Coordinamento Anteas di Padova per coinvolgere alunni ed anziani sul tema della pace. A Gui sarebbe toccato far rivivere il clima, le speranze e i lutti che avevano accompagnato sessantadue anni prima il trapasso dalla guerra e dalla dittatura alla pace e alla democrazia. Per rassicurarlo sull’impegno (e vincere le premurose preoccupazioni del figlio Benedetto) avevamo concordato che avrebbe risposto alle mie domande, più che fare un discorso.
Luigi Gui ascolta la mia prima domanda, poi è lui a dialogare con i suoi coetanei. Con loro ricorda la guerra, ma soprattutto li rende fieri della democrazia e della libertà nelle quali ciascuno di loro ha costruito benessere per i figli e i nipoti. Non fa prediche, non lancia esortazioni; ai suoi coetanei propone una consapevolezza: anche a novant’anni si è in grado di costruire; anzi: tocca ancora costruire; tocca a lui, tocca a ciascuno di loro. Democrazia e libertà avanzano anche in carrozzina.
Nel Partito Democratico da Popolari
Del resto, cinque anni prima, commentando proprio l’anniversario della Liberazione, Luigi Gui aveva assicurato che “le spinte per continuare a impegnarsi ci sono tutte e consistono nel filo che deve continuare a legare la libertà con la solidarietà e la giustizia sociali”.
È il filo della politica, indispensabile per tessere la comunità.
Gui non l’ha mai interrotto; al contrario, quando ce n’è stato bisogno ha continuato ad annodare filo a filo in modo che ce ne fosse sempre abbastanza per tessere il futuro.
Mi “racconta” come si fa anche il quel lunedì 23 aprile 2007 mentre lo accompagno in auto dalla sua abitazione di via Santa Rosa all’IRA di via Beato Pellegrino per la conferenza sulla Liberazione. Gui ha seguito in tv e già letto i giornali: la notizia del giorno è che nasce il Partito Democratico. Il partito della Margherita ha scelto di dare vita al nuovo soggetto politico e protagonisti nella scelta sono stati i Popolari.
Da “esperto” di partiti Gui annota che nel Partito Democratico ciascuno entrerà per quello che è; quindi nel PD ci saranno i cattolici democratici del Ppi, senza il bisogno dell’etichetta della Margherita. Ecco il filo che si annoda, cambia, continua. Comincia una storia di cui egli non può essere protagonista, ma che non sente estranea. Questo gli fa piacere.
Il compimento del progetto moroteo
Di un altro nodo di quel filo, invece, si era personalmente fatto carico nel 1994, quando finiva la Democrazia Cristiana e cominciavano altre storie politiche, come quella del Partito Popolare. Gui non aveva “potere” ormai da un decennio, ma sapeva di avere “ascolto” e inviò una lettera ai protagonisti veneti della Dc, spiegando che era opportuno facilitare il lavoro che in Veneto stava facendo Rosy Bindi per costruire il Ppi. Non scrive per sé. Non cerca e non avrà ruoli nel Ppi. Propone una direzione alla comunità dei cattolici democratici perché non si fermi.
A far continuare proprio quel filo annodato da Gui mi sarei poi trovato anch’io: qualche settimana dopo la sua lettera il Ppi veneto mi propose la candidatura al collegio senatoriale di Cittadella. Ero allora vicedirettore de “La Difesa del Popolo”, il settimanale diocesano di Padova di cui il papà di Luigi Gui, Corinto, era stato operaio linotipista. Altri fili personali e fili comunitari che si annodano.
Fili politici che si intrecciano: fino a formare l’Ulivo, nel 1996. Per i morotei veneti è l’attuazione del disegno politico di Aldo Moro, non nella forma immaginata dallo statista assassinato dalle Br ma nel progetto utile per l’Italia. Per Luigi Gui l’Ulivo è certamente questo compimento.
Nella vita del cattolicesimo democratico
Il suo filo politico ci guida però più in profondità, fino al cuore della democrazia, fino alla Costituzione repubblicana e alle speranze che il cattolicesimo democratico aveva contribuito a scriverci; ci guida fino a Giuseppe Dossetti, costituente assieme a Gui, poi monaco, poi nel 1994 tornato profeticamente a “gridare” in politica a difesa della Costituzione. Alla fine di quel 1996, al funerale di don Giuseppe Dossetti nella cattedrale bolognese di San Petronio, Luigi Gui c’era: per accompagnare un amico, per tenere ben saldo il filo che avevano tessuto insieme.
Quella presenza al funerale di Dossetti è anche uno dei modi con cui Luigi Gui ha continuato a “fare politica” nella comunità dei cattolici democratici senza avere ruoli: sceglieva “dove” essere. Stare con Dossetti, ad esempio. O anche festeggiare il suo novantesimo compleanno in piazza De Gasperi, storica sede padovana della DC diventata sede della Margherita, di cui era presidente onorario.
Sceglieva dove essere per se stesso; non pretendeva di essere di esempio né dava consigli; gli bastava saper scegliere ad ogni passaggio. È così che personalmente non si è mai ritirato dalla politica. È per questo che da amici e discepoli della sua area politica non è mai stato percepito come il “padre nobile” da onorare per il suo passato; piuttosto, è stato per molti la “garanzia” di essere dentro la stessa storia.
Padova, a cominciare dal papà linotipista
Non si è mai ritirato neppure da Padova, cioè dalla sua comunità, né avrebbe potuto farlo: per lui all’origine della politica c’è la comunità, c’è Padova. C’è Padova all’origine nel tempo: quell’assalto fascista alla “Difesa del Popolo”, che anche Francesco Cassandro trascrive. C’è Padova all’origine nei contenuti: don Giovanni Nervo, il sindacato, il consiglio comunale, le sezioni della Democrazia Cristiana, i sindaci, le associazioni, le istituzioni.
Ad esempio, nel mio invito del 2007 a venire a celebrare la Liberazione tra gli anziani dell’IRA c’era anche una ragione “istituzionale”: Luigi Gui era presidente della Federazione provinciale Combattenti e Reduci, ruolo che ricopriva dal 1974.
In Parlamento Gui è stato per vent’anni presidente del Gruppo interparlamentare degli Amici dei sordi dal 1964 al 1984: all’origine dell’impegno c’era Antonio Magarotto, che nella sua casa di Padova e a sue spese aveva fondato la prima scuola di Arte Grafica per sordomuti e che era collega di Corinto Gui, come lui linotipista.
Adottando Padova come una chiave di lettura della biografia-intervista di Francesco Cassandro, diventa visibile il mosaico di una intera comunità civica e politica, al quale Luigi Gui ha apportato numerose tessere.
Senza quelle tessere Padova e la politica avrebbero perso parte della loro fisonomia.
In copertina
Luigi Gui a Cadoneghe (Padova) nell’aprile del 1968 per la posa della prima pietra della scuola media; sul palco è con il sindaco Albino Bellon.