Lo smart working non serve solo in tempi di pandemia

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Invece il governo Meloni non solo non ci prova, ma spinge per legge al ritorno al passato.

Per la Destra il lavoro da casa non serve per i genitori, ma viene buono per la transizione verde.

Parma, 10 luglio 2023

Onorevole senatore Bedin,

ho letto curiosità il suo commento al decreto del governo sul lavoro da casa. Ha colto infatti un contenuto, quello della contraddizione rispetto alla declamata attenzione alla famiglia, che non ho visto sottolineato nel corso del dibattito sia fuori che dentro il Parlamento.

Più in generale – e questo l’ho notato non solo nella maggioranza di governo ma anche nelle organizzazioni sindacali e imprenditoriali – mi pare di cogliere una tacita rinuncia allo smart working. Soluzione da emergenza pandemica – sembra considerata – e quindi da abbandonare assieme a tutto quello che ci ricorda il Covid.

Tra le molte profetiche parole di Papa Francesco nella preghiera solitaria in Piazza San Pietro all’inizio della pandemia, ricordo queste: “Peggio di questa crisi c’è solo il rischio di sprecarla”.

Papa Francesco aveva in mente valori e condizioni della nostra umanità certo ben più importanti dello smart working, però – pur nelle sue dimensioni – anche quello che abbiamo imparato nell’organizzare il lavoro delle persone non andrebbe buttato alle ortiche.

Mi pare che durante la pandemia ne abbiano fatto esperienza poco meno di 9 milioni di lavoratori dipendenti italiani. Proprio questa larghissima diffusione ha consentito di ricavare attendibili indicazioni sul suo utilizzo anche dopo l’emergenza sanitaria.

Ad esempio, si è ricavato che un buon utilizzo dello smart working richiede anche il lavoro in presenza nel posto di lavoro: due o al massimo tre giorni di lavoro da casa vanno accompagnati da giorni sul posto di lavoro. Si evita così l’isolamento delle persone e si valorizza l’interazione fra colleghi.

Anche altri aspetti sono stati misurati e valutati e quindi si può oggi procedere con produttività in questa modalità di lavoro, che oltre ai vantaggi nell’organizzazione familiare, da lei sottolineati onorevole Bedin, ha anche vantaggi ambientali con la riduzione della mobilità e conseguenze benefiche sulla salute delle persone, con la riduzione del tempo passato in strada.

Invece il governo Meloni non solo non ci prova, ma spinge per legge al ritorno al passato.

Benedetto Corradi

Commenta Tino Bedin

Proprio mentre il decreto Meloni sullo smart working concludeva il suo percorso e diventava legge, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha trasmesso a Bruxelles la proposta di aggiornamento del Piano Nazionale integrato Energia e Clima, il PNIEC. Il piano descrive le mosse del governo italiano per accelerare nella transizione verde, definendo gli obiettivi nazionali al 2030 di riduzione delle emissioni climalteranti e di transizione alle energie sostenibili.

Succede che, mentre nega il lavoro da casa ai dipendenti pubblici con figli, lo stesso governo Meloni lo ritiene necessario per la riduzione delle emissioni.

“Occorrerà incentivare con maggiore forza misure tese a trasferire gli spostamenti dell’utenza dal trasporto privato a quello pubblico attraverso lo shift modale, ridurre la necessità di spostamento con politiche di favore per smart working e valutare la riduzione delle giornate lavorative a parità di ore lavorate”, scrive il governo.

Insomma, sembra proprio che il governo ce l’abbia con i genitori e non tanto con lo smart working.

Infatti, insiste: “Occorrerà altresì un utilizzo pieno della digitalizzazione del Paese e della conseguente riduzione di spostamenti fisici, oltre alla promozione della mobilità dolce e degli strumenti per la pianificazione della mobilità”.

Le opportunità offerte dal lavoro da casa, giustamente richiamate dal lettore Benedetto Corradi, sono dunque note alla Destra, che se ne ricorda per l’economia e non per la famiglia.

Immagine di copertina di Moondance da Pixabay