La vita normale di Gina Zambon Valentini

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Il filo dei suoi 96 anni intreccia la famiglia e la comunità di Cadoneghe: così la morte non lo taglia.

Il funerale nella chiesa di Mejaniga, davanti alla quale mezzo secolo prima c’era il banchetto della “Nana”.

Per il funerale di Gina Zambon Valentini il parroco ha scelto letture bibliche che raccontano la morte come parte della storia, non come fine della storia. All’omelia don Mirco De Gaspari cristianamente ne ricava non tanto consolazione per il lutto quanto fondata certezza per la vita.

Quanti siamo nella chiesa di Mejaniga per condividere il rito del commiato con la figlia Cinzia Valentini e con gli altri familiari, avendo memoria della comunità di Cadoneghe, avvertiamo che la certezza evocata da Don Mirco è confermata dalla bara davanti all’altare. Anche il filo della vita di “nonna Gina” (come da tempo la chiamano in casa) si è intrecciato con i fili di molte vite personali, familiari e comunitarie: per questo la morte non può più tagliarlo.

Il carrettino dei gelati

Gina Zambon è oggi nella bara davanti all’altare maggiore. Gina è morta d’agosto (lunedì 14), in piena stagione di gelati, a 96 anni.

Proprio fuori della chiesa di Mejaniga, al di là della strada, davanti al cinema parrocchiale (fra poco sostituito da un centro sanitario) negli anni Cinquanta del secolo scorso la domenica c’erano i due banchetti della “Nana” e della “Cici”: entrambi vendevano dolciumi per i bambini che uscivano da Messa. D’estate però la “Nana” vinceva la concorrenza della “Cici” perché era la sola ad avere il carrettino dei gelati.

A quel carrettino c’era anche Gina a distribuirlo ai bambini (mamme e papà spesso non se lo permettevano per se stessi).

Fin da giovane, assieme alle sue sorelle, deve occuparsi delle attività di famiglia: il negozio di frutta e verdura al “Ponte” e la vendita dei gelati, che la vedono impegnata a girare le campagne con cavallo e carretto assieme alla prozia Anna (detta “Nana”) per rifornire il negozio e, spesso, anche a spostare a mano il pesante bancone su ruote per i gelati.

È l’originale “biglietto funebre” preparato dalla figlia Cinzia a fare memoria (lo citerò ancora).

Ecco un filo di vita personale che tesse quella di una comunità nella quale quasi nessuna bambina studiava, le ragazze lavoravano presto e il matrimonio cambiava la vita; per questo bisognava che fosse solido e non solo negli affetti.

Negli anni del dopoguerra trova l’amore in Giovanni, ma il fidanzamento è lungo e tormentato per la precarietà economica di lui. Giovanni va a cercare miglior fortuna in Svizzera, ma torna disoccupato e i tempi per il matrimonio si allungano. Finalmente nel 1954 Gina e Giovanni riescono a sposarsi.

Era normale, ma non era una resa

Figlia, fidanzata in attesa di Giovanni, sposa, madre presto, nonna: Gina Zambon Valentini è vissuta per questo. Era “normale”: per lei, per quasi tutte. Non era “facile”: molte l’hanno ci sono riuscite, ma senza arrendersi, per cambiare. Anche Gina e Giovanni Valentini volevano cambiare.

Pur tra dubbi e incertezze, sempre dovuti alla situazione economica, deciderà di far studiare l’unica figlia che potrà così laurearsi e diventare insegnante. Anni dopo, rivendicherà con orgoglio questa decisione come una delle più importanti e giuste della sua vita.

Figlia, fidanzata, sposa, madre, nonna; poi di nuovo “madre”.

Poco più che settantenne deve supportare in tutto e per tutto il marito, colpito da un ictus.

Figlia, fidanzata, sposa, madre, nonna; poi di nuovo “madre”; poi di nuovo “figlia”.

Alla morte del marito, quasi novantenne, Gina mostra già i primi segni della malattia che le toglierà progressivamente la memoria, la capacità di relazionarsi con la realtà.

Ancora, drammaticamente “normale” la vita di Gina Zambon Valentini per molte vite.

DIARIO DI COMUNITÀ / VENERDÌ 18 AGOSTO 2023

Immagini di copertina e del testo

Cinzia Valentini, Biglietto funebre per “Nonna Gina”, 18 agosto 2023