La flat tax è un’anticaglia fiscale che va stretta agli italiani

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La Destra italiana la sbandiera dal 1994, ma nel frattempo è stata abbandonata da molti Paesi che l’avevano adottata

La flat tax: roba del 1994. È l’anno in cui la Destra italiana (Berlusconi-Bossi-Fini) va al governo sventolando il vessillo del calo delle tasse. È anche l’anno in cui l’Estonia, repubblica baltica con trascorsi sovietici, adotta la flat tax: una novità.

Fino al 1994 il sistema era stato adottato solo da 5 giurisdizioni: Bolivia (1986), Giamaica (1980), Guernsey (1960), Hong Kong (1947) e Jersey (1940); nessuna di esse aveva avuto in precedenza un prelievo sui redditi personali.

Lo ha raccontato giovedì 18 maggio ai deputati della Commissione Finanze della Camera Giacomo Ricotti, capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia.

Anno 2023: la Destra italiana è al governo (Meloni-Salvini-Berlusconi; cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia) e la flat tax arriva in Parlamento nella proposta di legge delega sulla riforma fiscale.

Come e dove si tengono ancora la tassa piatta

Meglio tardi che mai? Non proprio: nel 2023 la flat tax è roba vecchia. Mi vengono in mente le macchine da scrivere con la memoria: sorprendenti nel 1994 (anticipavano i pc), antiquariato già da qualche lustro.

Il caposervizio Giacomo Ricotti la racconta così:

A partire dall’adozione da parte dell’Estonia in quell’anno, nei seguenti 3 lustri la flat tax conobbe una significativa diffusione, in particolare nei paesi, europei e non, dell’area ex-sovietica con economie in transizione; al termine di tale “ondata” le giurisdizioni con una flat tax erano oltre 40, con la Russia come paese più importante.

Dopo il 2010 è iniziata una fase di “riflusso”, che ha portato alla situazione attuale; in particolare sono passati da un sistema a unica aliquota a sistemi con una pluralità di aliquote (per lo più in numero ridotto e di livello moderato) 10 paesi europei: Albania, Andorra, Islanda, Lettonia, Lituania, Montenegro, Repubblica Ceca, Russia, Serbia e Slovacchia.

Ed è complessivamente finita male, come ha riassunto Giacomo Ricotti per i deputati della Commissione Finanze:

Nel mondo su 225 Stati sovrani o territori autonomi i sistemi di tassazione generale del reddito delle persone fisiche di tipo flat applicati nel 2023 sono in totale 23:

14 con una sola aliquota per tutti i redditi (Armenia, Belize, Bolivia, Estonia, Guernsey, Jersey, Kazakistan, Kirghizistan, Macedonia del Nord, Moldavia, Romania, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan);

3 formalmente con due aliquote, di cui la prima è però 0 (Afghanistan, Nauru, Timor Est);

6 con aliquote flat ma differenziate in base ai tipi di reddito (Bielorussia, Bulgaria, Georgia e Ungheria; sistema analogo a quello vigente in Italia fino alla seconda guerra mondiale con l’imposta sui redditi di ricchezza mobile) o alla regione (Bosnia-Erzegovina, Groenlandia).

E per facilitare ai parlamentari la lettura dell’elenco di Stati a tassa piatta, la relazione della Banca d’Italia si premura di far loro notare che se fosse adottata in Italia, secondo i propositi della delega fiscale, la flat tax

rappresenterebbe un unicum tra i sistemi in vigore nelle maggiori economie avanzate: è stato adottato in prevalenza da economie in transizione o in via di sviluppo, con una contenuta pressione fiscale e sistemi di welfare di dimensione limitata”.

Non è solo vecchia la flat tax della Destra, ma anche del tutto “fuori moda” per l’Italia membro del G7.

Da un punto di vista storico, si può affermare che gli Stati a flat tax hanno un livello e una struttura di prelievo tipici di uno stadio evolutivo del sistema tributario arretrato o intermedio; non a caso, 19 Stati su 20 sono considerati dallo stesso FMI, per la loro complessiva condizione economica, come “in via di sviluppo”.

Lo scrive, impietoso,  sempre Giacomo Ricotti nella relazione per la Camera dei deputati.

Effetti negativi su redistribuzione e diseguaglianze

Il caposervizio Ricotti non ce l’ha con Giorgia Meloni. Parla a nome di Banca d’Italia e la sua relazione contiene anche apprezzamenti e suggerimenti migliorativi per la delega fiscale in discussione alla Camera. È evidente, dunque, che la stroncatura storica della flat tax si base su informazioni ed elaborazioni tecniche. Come la seguente:

L’unico argomento su cui le ricerche mostrano una certa convergenza è quello a sfavore della flat tax, ovvero le conseguenze su redistribuzione e disuguaglianza: effetti negativi su questi due aspetti sono stati accertati in alcuni paesi, come la Bulgaria. In altri, come l’Estonia o la Slovacchia, sono stati evitati o attenuati dall’ampliamento di minimi esenti, deduzioni o detrazioni, personali e di spesa, non senza però un costo per l’erario e al prezzo di allontanarsi sensibilmente dal modello base della flat tax.

Ciò vale anche per il progetto dell’attuale governo:

Va anche prestata attenzione affinché le modifiche introdotte siano coerenti con l’assetto del nostro sistema di finanza decentrata (attualmente oggetto anche esso di importanti sforzi di riforma) e, dal lato della spesa, con i principali strumenti di assistenza sociale. (…)

Il modello prefigurato dalla delega come punto di arrivo – un sistema ad aliquota unica insieme a una riduzione del carico fiscale – potrebbe risultare poco realistico per un paese con un ampio sistema di welfare, soprattutto alla luce dei vincoli di finanza pubblica; comunque ne andranno attentamente valutati gli effetti redistributivi. La sfida sarà tradurre in pratica i principi cui si ispira la delega tenendo insieme i vincoli di bilancio pubblico, l’equità orizzontale e verticale. Nelle more dell’introduzione della flat tax, l’estensione dei regimi sostitutivi potrebbe ridurre l’equità del sistema.

Non ha fatto notizia sui quotidiani padovani

Sul fatto che, invece, “l’Irpef e i suoi regimi sostitutivi servono a ridurre le diseguaglianze in modo cruciale” insiste il quotidiano cattolico Avvenire, che sulla relazione di Ricotti sabato 20 maggio pubblica un commento di Roberto Petrini dal titolo molto esplicito “La sconfitta (si spera definitiva) della flat tax e dei suoi sostenitori”.

Il giorno prima aveva dato conto dell’audizione alla Camera, anche con un titolo in prima pagina (come il Corriere della Sera e La Stampa). Sui quotidiani più diffusi a Padova, Il Gazzettino e Il Mattino di Padova, la relazione non è stata giudicata interessante per i lettori-contribuenti, visto che non se ne parla.

Ne dà conto invece La Repubblica, con una apprezzabile sintesi di Giuseppe Colombo, che la introduce con questa valutazione:

Il principio di realtà irrompe in una delle narrazioni più identitarie della destra al governo. Con un’espressione netta e pesante. Perché in ballo c’è la grande promessa sulle tasse: la flat tax. E perché a dire che lo schema è «poco realistico» è la Banca d’Italia. Se poi si segue lo sviluppo dell’analisi del capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale Giacomo Ricotti, audito ieri dalla commissione Finanze della Camera sulla delega fiscale, il contraccolpo per Giorgia Meloni e i suoi alleati risulta ancora più evidente.

21 maggio 2023

Foto di Bruno /Germany da Pixabay