Una parola comunissima, fuori dalle categorie logiche.

Papa Francesco: servono comunità capaci di offrire e generare relazioni.
Popolo è parola comunissima, tuttavia non univoca. In una conversazione con Antonio Spataro, direttore di Civiltà Cattolica, Papa Francesco va dentro questa “parola molto maltrattata”; la racconta come un’esperienza, non la definisce in base a logiche esterne.
“Popolo” non è una categoria logica, né è una categoria mistica, se la intendiamo nel senso che tutto quello che fa il popolo sia buono o nel senso che il popolo sia una categoria angelicata. (…)
Popolo è una categoria storica e mitica. Il popolo si fa in un processo, con l’impegno in vista di un obiettivo o un progetto comune. (…)
Ci vuole un mito per capire il popolo. Quando spieghi che cos’è un popolo, usi categorie logiche perché lo devi spiegare: ci vogliono, certo. Ma non spieghi così il senso dell’appartenenza al popolo. La parola “popolo” ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica. Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile.
Padre Juan Carlos Scannone, gesuita e docente di Filosofia e Teologia all’Università Usal di San Miguel in Argentina, scomparso nel 2019, scrive che questa visione è la capacità di “riconoscere il popolo come soggetto della storia, assumendone la cultura e riconoscendo la mistica popolare, optando per la centralità evangelica dei poveri nell’economia della salvezza”, perché “è il popolo nel suo insieme il soggetto attivo di evangelizzazione e la gerarchia della Chiesa deve mettersi al suo servizio”.
Non c’è traccia di populismo
Padre Scannone era stato docente di Greco e di Letteratura del giovane Jorge Bergoglio. A sentire lui, c’entrano nulla il peronismo (a volte evocato da commentatori occidentali) o la teologia della liberazione (disinformante etichetta genericamente applicata alla Chiesa latino-americana) che alcuni critici non smettono di citare a proposito del Pontefice argentino.
Papa Francesco è avvertito dei rischi delle interpretazioni disinformate e malevole. In Colombia ai suoi confratelli gesuiti aveva confidato: “Oggi bisogna fare attenzione quando si parla di popolo! Perché qualcuno dirà: Finirete per diventare populisti, e si cominceranno a fare elucubrazioni”.
Il teologo venezuelano Rafael Luciani, perito del Consiglio episcopale latinoamericano, spiega che la parola “popolo” è usata da Papa Francesco “a vari livelli: il popolo-povero che ha bisogno di essere accompagnato contro la povertà; il popolo-nazione che partecipa a un’identità e a un progetto comuni; il popolo-fedeli che vive la vita quotidiana della fede. (…) Francesco ricorda che dobbiamo recuperare la giusta nozione di popolo, un concetto che richiama all’unità e alla comunione intorno a una identità socioculturale comune, a un progetto sociopolitico che ricerca il bene comune e a quei valori che un gruppo di persone va costruendo nel tempo”.
Materia di questa scuola della fede è la pietà popolare. Ha i suoi difetti, ma ha anche tante virtù, osserva Papa Francesco, citando san Paolo VI nella Evangelii nuntiandi. E sollecita: “I difetti devono guarire, ma le virtù devono crescere”, anche perché la pietà popolare è il “sistema immunitario” della Chiesa.
La pietà popolare di Papa Paolo VI
Anche su questo punto il Santo Padre si premura di ricordare che non sta dicendo nulla di nuovo, che sta seguendo un pensiero lungo della Chiesa, sistematizzato dal Concilio e da Paolo VI.
In un discorso del 2012 l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, riassume il percorso semantico di questa parola, non come lezione di linguistica ma come proposta di atteggiamento di fede.
Se prima si parlava di religiosità popolare (il termine resta in uso), Paolo VI fa un passo avanti e dice: sarebbe meglio chiamarla pietà popolare. Aparecida fa un altro passo avanti e la chiama spiritualità popolare. (…) Non si tratta soltanto di manifestazioni di religiosità popolare che dobbiamo tollerare, si tratta di una vera spiritualità popolare che deve essere rafforzata secondo le sue proprie vie. (…) Non è la Cenerentola della casa. Non sono quelli che non capiscono, quelli che non sanno. Mi dispiace quando qualcuno dice: “Quelli dobbiamo educarli”. Ci perseguita sempre il fantasma dell’Illuminismo, quel riduzionismo ideologico-nominalista che ci porta a non rispettare la realtà concreta. E Dio ha voluto parlarci tramite realtà concrete.
A differenza degli “illuministi”, la pietà popolare non ha l’ambizione di spiegare nulla, sente il bisogno di compiere un atto di fede in una comunità.
Insegna come credere
Il popolo è il soggetto attivo, non l’oggetto, dell’evangelizzazione. Il popolo nel suo insieme evangelizza, testimonia. “Per il Papa vale l’idea per cui la dottrina ci insegna in chi credere, ma il popolo ci insegna come credere”, riassume il prof. Francisco Mele, suo amico e suo successore nell’insegnamento di Psicologia a Buenos Aires.
Per essere il popolo di Dio che cammina in mezzo ad altri popoli e alle loro culture, alla Chiesa “occorrerà ascoltare il grido del popolo, come Mosè fu esortato a fare: sapendo così interpretare, alla luce della Parola di Dio, i fenomeni sociali e culturali. (…) Per far questo occorrerà che le nostre comunità diventino capaci di generare un popolo – questo è importante, non dimenticatelo: Chiesa con popolo, non Chiesa senza popolo -, capaci cioè di offrire e generare relazioni nelle quali la nostra gente possa sentirsi conosciuta, riconosciuta, accolta, benvoluta” (Papa Francesco, 14 maggio 2018, Convegno pastorale della Diocesi di Roma).
20 marzo 2022