Camposampiero, sagrato del Santuario del Noce: Dino Scantamburlo presenta il suo ultimo libro
“È una fortuna avere l’amicizia di Dino Scantamburlo, come testimone di servizio alla comunità“. Con queste parole Katia Maccarrone, sindaco di Camposampiero, ha introdotto, il 4 settembre scorso, la serata dedicata alla presentazione del suo ultimo libro “Dalla paura alla speranza. Sette storie di vita del Novecento con testimonianze degli ultimi protagonisti del territorio padovano”.
Il servizio di Dino Scantamburlo è iniziato a scuola, insegnando lettere all’istituto Newton-Pertini, proseguito con l’elezione a sindaco, a deputato, a consigliere provinciale. Con il suo libro promuove il progetto “Recupero alla vita di circa duecento bambini gravemente denutriti” nel Centro medico della missione delle suore Salesie a Estalagem, in Angola, gestito dall’associazione di volontariato per la cooperazione Mano Amica di Camposampiero. A questo progetto è infatti destinato l’intero ricavato della vendita.
La serata è stata guidata da Carlo Toniato, direttore della Biblioteca di Camposampiero, e ha avuto una lunga introduzione del giornalista Edoardo Pittalis. Ma il vero artefice è stato Scantamburlo, che ha portato ad essere protagonisti con lui alcune persone che gli hanno fornito documenti, ricordi, testimonianze degli eventi raccontati nel libro. In particolare a Stefania Tartaglia, Grazia Contus e Liana Romer, Amadu Djallo, ha dato il libro, mentre i due sindaci presenti, Katia Maccarrone di Camposampiero e Stefano Scattolin di Massanzago, hanno consegnato un riconoscimento delle amministrazioni comunali.
Il luogo dove si è svolto l’evento, il sagrato del santuario del Noce a Camposampiero, ne ha perfettamente inquadrato lo spirito: farsi prossimo.
In mezz’ora via dall’Abruzzo in mano ai tedeschi
Stefania Tartaglia rappresentava Bianca Rubino, che ora risiede a Bologna e non è stata in grado di venire a Camposampiero, ma nel libro rende una lunga testimonianza relativa al capitolo “Dalla terra dei Peligni al Padova”, cioè l’abbandono forzato e repentino della loro terra da parte delle popolazioni abruzzesi, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando i tedeschi erano diventati improvvisamente nemici.
Bianca Rubino veniva da Lama dei Peligni, in provincia di Chieti. “Io avevo dieci anni. I tedeschi, un giorno d’autunno del 1943, ci ordinarono di scappare subito. Avevano deciso di non far trovare proprio nulla agli “invasori” dal sud. Ci lasciarono mezz’ora di tempo per muoverci, minacciando che chiunque avessero trovato poi, in paese, in una grotta o nei boschi, l’avrebbero considerato una spia e, quindi, fucilato“.
La famiglia di Bianca, assieme ad altre sessanta famiglie, arrivò in treno a Camposampiero. Per qualche settimana fu alloggiata in locali dell’ospedale, altri nelle case di campagna e nei patronati. Nessuno fu accolto nelle case dei ricchi. Il primo Natale da sfollati ebbero in regalo una ricca cena nei locali della scuola elementare, oltre a indumenti nuovi acquistati con i soldi raccolti da studenti guidati dai cappellani. Per l’occasione fu stampata un’immagine sacra con la preghiera del profugo. Tra gli abitanti di Lama e quelli di Camposampiero, che all’inizio non capivano neppure i reciproci dialetti, si instaurò un bel rapporto, favorito dalla comune devozione a sant’Antonio.
Bianca racconta: “Fummo accolti stupendamente e ospitati per circa tre mesi nella casa che si trova all’incrocio di via Monte Grappa con via Ca’ Boldù, da Guido Bedin, cassiere di banca“. Più tardi dovettero andare via da quel posto colpito dai bombardamenti. “Trovammo identica straordinaria ospitalità a Rustega, in via Patissi da Vittorio Benfatto. Posso dire che noi non saremmo riusciti a fare il bene che loro fecero a noi. Ci diedero due stanze. Facevano il pane: i primi pezzi erano per noi. Si raccoglievano le uova: tante per loro, altrettante per noi. Sarò per sempre riconoscente a loro“.
Il padre di Bianca, Ernesto, era una persona istruita e disponibile, e fu presto assunto come applicato dal Comune di Camposampiero, all’ufficio anagrafe. In questa posizione poté tenere rapporti con gli alleati e i partigiani, tanto che il 12 maggio 1945 ricevette un’onorificenza dal comandante della Missione Alleata Z.Z.Z, con questa motivazione: “Collaborava con noi rilasciando documenti falsi a nostri organizzati, ospitandoli nello stesso tempo, esponendosi così al rischio di essere compromesso. Il suo comportamento è meritevole di elogi. Gli è stato rilasciato il tesserino di Patriota perché se lo è veramente meritato“.
La febbre spagnola cento anni fa, il coronavirus oggi
Nel libro altri due capitoli sono dedicati ai profughi, uno a quelli fuggiti dall’Istria, Venezia Giulia e Dalmazia alla fine della seconda guerra mondiale, e uno ai vietnamiti del boat people nel 1979.
Grazia Contus, che ha ricevuto l’onorificenza, è venuta piccolissima da Pola nel 1947; Liana Rover, che ha pure ricevuto l’onorificenza, era venuta da Zara e si era stabilita a Camposampiero con il marito.
Di assoluta attualità sono i capitoli primo e ultimo.
Il primo è dedicato alla febbre spagnola, che ha colpito tutto il mondo tra il 1918 e 1919. È un evento poco trattato nei libri di storia, perché ha scarsa documentazione nelle fonti ufficiali. Era la fine della prima guerra mondiale, le potenze occidentali, Italia compresa, erano tutte concentrate sull’attacco finale, e avevano imposto la censura per non scoraggiare i soldati al fronte e seminare il panico tra la popolazione. Ma da quel poco che si è trovato, specie negli archivi parrocchiali, si viene a sapere che è stato un fatto sconvolgente, al punto che qualcuno pensava che fosse giunta la fine del mondo. Tra l’autunno 1918 e la primavera 1919 i morti sono stati il doppio del solito. Secondo una stima approssimativa, pare che in Italia i morti siano stati tra 500 e 600 mila, quando la popolazione era di 36 milioni di abitanti.
Le affinità tra la spagnola e il coronavirus sono ben sottolineate dall’autore, il quale, per dare testimonianza del titolo del libro, cita questi fatti: dalla paura generata dall’immagine delle lunghe file di camion militari carichi di bare alla speranza generata dalla toccante supplica di papa Francesco a Dio, in una piazza San Pietro vuota e buia “Svegliati, Signore! È il tempo del nostro giudizio … È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri“.
Il 21 novembre 2020 a Camposampiero, nel pieno della seconda ondata, nella festività della Madonna della Salute, il sindaco, il clero, la popolazione hanno invocato la cessazione della malattia con una preghiera corale nell’oratorio della Madonna della Salute, alla quale hanno partecipato i cittadini via internet. “A testimonianza che, accanto alla scienza e alla medicina, la fede e la preghiera confermano il loro grande valore lungo le prove difficili dell’esistenza umana“.
Amadou, dalla Guinea: qui nessuno ti fa male
L’ultimo capitolo è dedicato a un profugo proveniente dalla Guinea, Amadou Djiallo, classe 1994, a cui è stato consegnato il terzo riconoscimento. Non ha fatto nulla di speciale, se non affrontare un viaggio pericoloso, cercare di inserirsi nella comunità in cui è capitato, imparando la lingua, andando a scuola serale, adattandosi a vari lavori, assoggettandosi alle procedure burocratiche per il permesso di soggiorno, subordinando la sua fede islamica alle regole della giornata lavorativa.
Nel 2015, quando la Caritas lanciò il progetto Rifugiato a casa mia l’arciprete di Camposampiero don Claudio Bosa offrì l’accoglienza nella casa parrocchiale don Guido, con la collaborazione operativa di Luisa Cavallin e Franco Gallo. Amadou fu assegnato alla parrocchia dei Santi Pietro e Paolo e vi restò per un anno. La parrocchia e la Caritas gli hanno procurato un lavoro regolare presso la cooperativa Il Graticolato, nel Centro Paolo VI di San Giorgio delle Pertiche. Con sette colleghi tutti italiani, egli opera in una sezione staccata della cooperativa a Santa Giustina in Colle, che raggiunge in bicicletta, dove si compongono quadri elettrici. Dal 2017 ha potuto prendere in affitto un appartamento assieme a un amico. “A Camposampiero – dice – ho conosciuto molte persone amiche e generose. Quando siamo insieme, io non sento differenza!“.
Amadou, che cosa ti ha colpito della vita in Italia in questi anni? Chiede Scantamburlo. “La tranquillità di vita, perché nessuno ti fa male, puoi camminare sicuro”.
La speranza umana e la speranza cristiana
Dino Scantamburlo dedica le pagine finali del libro alla speranza, che ha concluso tutte le storie dolorose raccontate nei sette capitoli. Descrive la speranza umana che poggia su ideali forti, volontà tenace, superamento della paura. Ma invoca anche la speranza cristiana che confida nel Dio-Provvidenza.
Bene ha detto il sindaco Katia Maccarrone: “Questo libro mette insieme storie diverse, con chiavi di lettura contemporanee, in cui emerge sempre la solidarietà. Spero che sia utilizzato nelle scuole“.
DIARIO / SABATO 4 SETTEMBRE 2021