Difficile che le “strutture perimetrate” di Giorgia Meloni li impressionino.
I rimpatri: un idolo da innalzare ad uso interno, come il blocco navale.
Loro, i migranti, non si fermeranno; non possono fermarsi.
“I blocchi non cambieranno niente. La situazione non cambierà perché in Africa la situazione non sta cambiando. Il vento lei riesce a fermarlo? Se io chiudo la porta, il vento da qualche parte deve passare”. Lo dice il cardinale Francesco Montenegro. Era arcivescovo di Agrigento quando nel 2013 accompagnò a Lampedusa Papa Francesco nel suo primo viaggio dopo l’elezione a vescovo di Roma. Anche ora che di Agrigento è arcivescovo emerito conosce bene i migranti. In una intervista di fine settembre mons. Montenegro ci fa da guida nel cuore e nella mente di chi lascia l’Africa.
A casa loro? Ma casa loro è inabitabile
“Stiamo dicendo loro: Statevene a casa, ma casa loro è inabitabile. Dicono: L’unica possibilità è andarcene; se restiamo qua moriamo, se ci riesce siamo salvi o moriamo lo stesso. Un vescovo algerino mi disse: Voi li rimandate indietro, ma chi torna o si mette a mendicare e muore, o finisce in carcere e muore, o prende la strada del deserto ed è destinato a morire. Questa gente è già morta. Questa gente vuole vivere”.
Sono persone che di se stesse sentono ogni tanto dire dagli italiani: “Aiutiamoli a casa loro”. È un proposito ragionevole per tutti; le parole suonano bene sulle due sponde del Mediterraneo. È che sulla sponda nord, cioè in Italia, le parole non diventano mai numeri adeguati in una legge Finanziaria. È che sulla sponda sud, cioè in Africa, dittature, regimi politici instabili, utilità delle multinazionali asciugano i pochi “aiuti” destinati alle popolazioni.
Non si possono quindi sentire colpevoli di immigrazione clandestina le persone che provano e riescono ad arrivare in Italia, anche se tali le considera la presidente italiana Giorgia Meloni. Le ha anche avvertite al riguardo: “Se entrate illegalmente in Italia sarete trattenuti e rimpatriati”.
L’allungamento dei tempi di detenzione amministrativa
Ha loro minacciato che nei centri di permanenza per i rimpatri potrebbero essere recluse (Meloni dice “trattenute”) fino a 18 mesi (finora la detenzione media nei Cpr è stata di 36 giorni). E non si illudano di scapolarla perché ora i posti sono pochi: ci sarà “il potenziamento dei centri per i rimpatri, in modo che chiunque entri illegalmente in Italia sia effettivamente trattenuto in queste strutture”. E questi futuri “trattenuti” non pensino che avranno a che fare con le normali Forze dell’ordine, perché dovranno vedersela con le Forze armate: “Sarà dato mandato alla Difesa di realizzare nel più breve tempo possibile le strutture, in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili”.
“L’allungamento dei tempi di detenzione amministrativa non servirà né a fermare i flussi dei migranti verso l’Italia, né a rendere più efficace il sistema di rimpatrio forzato”, ha osservato Roberto Zaccaria, presidente del Consiglio italiano per i rifugiati, subito dopo che il Consiglio dei Ministri ha dato seguito all’annuncio di Meloni con le misure di allungamento del trattenimento di migranti fino ai 18 mesi nei Centri di permanenza per il rimpatrio. Zaccaria ha anche osservato: “È l’ennesima iniziativa volta a rafforzare una immagine securitaria di gestione delle migrazioni, ma che non avrà alcun impatto significativo, se non quello di brutalizzare i diritti delle persone”.
Il Consiglio italiano per i rifugiati ha documentato che i rimpatri dipendono in modo esclusivo dagli accordi con i Paesi di riammissione, non con la lunghezza del tempo in cui i migranti sono detenuti nei centri. I dati dimostrano infatti che nel corso degli anni al variare del tempo di trattenimento non corrisponde in alcun modo un miglioramento delle percentuali di rimpatrio che restano stabili a poco meno del 50 per cento sia negli anni in cui per i migranti il trattenimento poteva durare sino a 18 mesi, sia in quelli in cui non poteva superare i 90 giorni.
La militarizzazione di funzioni civili
“Strutture perimetrate” (e relativi militari di sorveglianza) non saranno però una novità per le persone che ci sono già vissute nei “lager” in Libia o in Tunisia prima di trovare posto in una barca e – anche con la prospettiva minacciata dal governo italiano – in Italia staranno di sicuro meglio. Quindi non si preoccuperanno.
Qualche preoccupazione per la militarizzazione di funzioni civili potrebbero, invece, averla gli italiani: non nei confronti delle Forze armate ma nei confronti di chi ha queste pensate. Rassicura non poco, comunque, la consapevolezza che questi nuovi centri per i rimpatri non si faranno: prima di tutto perché i posti immaginati ed attrezzabili non esistono, in secondo luogo perché nessun presidente di Regione li vuole e sulla prima linea del “fronte del no” – per mantenere il vocabolario militare – si sono subito schierati i presidenti politicamente affini al governo.
Quanto ai rimpatri, essi sono un idolo da innalzare ad uso interno come il blocco navale: anche i rimpatri richiedo accordi internazionali bilaterali o multilaterali, sono oggetto di valutazione caso per caso dagli organi di garanzia, sono costosi. Matteo Salvini era già allora vicepresidente del Consiglio e addirittura ministro dell’Interno nel governo guidato da Giuseppe Conte quando assicurava che avrebbe rimpatriato 100 immigrati irregolari al giorno: non arrivò mai a 20 in un giorno.
1 ottobre 2023
In copertina
La locandina della proiezione del film Io Capitano di Matteo Garrone organizzata a Padova il 27 settembre scorso al cinema Multiastra all’interno del Festival di Solidaria. Io Capitano è il film candidato italiano nella corsa agli Oscar.