L’impoverimento demografico caratterizza tutta la parte più dinamica e produttiva del pianeta.
Per l’Italia un’agenda per portare le nascite annuali sopra le 500 mila nei prossimi 15 anni.
La denatalità è da quest’anno una questione globale. Appena nel maggio scorso Papa Francesco constatava che “l’Italia, l’Europa e l’Occidente si stanno impoverendo di avvenire” perché “nascono sempre meno bambini e questo significa impoverire il futuro di tutti”. Ora, con i dati diffusi a gennaio dalla Repubblica Popolare, in questo “futuro povero” è entrata ufficialmente anche la Cina: lì nel 2022 per la prima volta dalla fine degli Anni Cinquanta è stato registrato un saldo negativo tra nascite e morti, che ha determinato un calo della popolazione di circa 850 mila persone. Non sono stati i morti ad aumentare, ma i nuovi nati a continuare a diminuire, nonostante le politiche pubbliche pro-maternità degli anni recenti.
L’impoverimento demografico caratterizza tutta la parte più dinamica e produttiva del pianeta: l’Europa assieme all’intero Occidente, la Cina assieme al Giappone e alla Corea del Sud. Poiché è proprio qui che si determina l’evoluzione globale, è qui che diventa sempre più ineludibile cercare risposte alla natalità come nuova questione sociale.
Non serve lo sconto sulla torta di nozze
Proprio a questa constatazione: “Natalità, la nuova questione sociale” ha dedicato un capitolo specifico lo scorso novembre il Festival della Dottrina sociale che si è tenuto a Verona sul tema generale “Costruire la fiducia – La passione dell’incontro”.
Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica, la sintetizza così: “Nel mondo contemporaneo avere figli non è sentito come un obbligo e non è dato per scontato averli anche quando li si desidera. È una scelta libera che ha bisogno di condizioni adatte per poter essere realizzata. Non è una scelta solitaria: serve attorno una comunità che ne riconosca il valore mettendo in campo politiche solide ed efficaci, all’interno di un clima sociale positivo”. E a conferma della globalizzazione di questa questione sociale, ecco tre righe di un editoriale del quotidiano giapponese Asahi (ripreso da Avvenire): “Fare figli è una scelta positiva, un atto di fiducia nei confronti della società in cui si vive. È evidente che in questo momento questa fiducia non c’è. Soprattutto da parte delle donne”.
Commentando una “trovata” legislativa (ufficialmente ancora nell’agenda del Parlamento italiano) sul sostegno statale solo ai matrimoni celebrati in chiesa (ma in realtà sarebbe un sostegno ai ristoratori e ai servizi matrimoniali) Gigi De Paolo, presidente nazionale del Forum Famiglie e della Fondazione per la natalità, ha scritto: “I matrimoni aumentano se mettiamo i giovani nelle condizioni di avere un lavoro dignitoso subito dopo la laurea. Se non li costringiamo ad umiliarsi in banca chiedendo ai loro genitori di fare i garanti per l’acquisto della prima casa. Il vero “incentivo” al matrimonio è il quoziente familiare che accompagna una coppia sposata per tutta la vita, non lo sconto sul fotografo e la torta di nozze… Non servono mance, ma progetti seri. Non servono trovate mediatiche, ma sentire la fiducia del proprio Paese”.
La notizia vera arriva dalla Francia
Il quoziente familiare è uno degli strumenti adottati da tempo in Francia. Commenta il demografo Alessandro Rosina: “Un figlio è un bene collettivo su cui tutta la società investe, questa è la base del quoziente familiare in Francia”.
Qui, secondo un dato elaborato dall’Ocse, nel 2022 il 2,68 per cento del PIL è stato dedicato ad un sistema composito di politiche orientate al sostegno della famiglia e della natalità. Si tratta di politiche fiscali e contestualmente di disponibilità di servizi pubblici universali e costantemente aggiornati: tra le ultime decisioni quella presa nel 2019 di rendere obbligatoria e quindi gratuita la frequenza della scuola dell’infanzia.
Oltre alla conciliazione tra lavoro e genitorialità, ci sono infatti altre situazioni che non possono più essere “privatizzate”: il costo dei figli, la loro cura (nidi e scuole materne), l’accesso al mercato delle abitazioni.
Con il suo sistema “orientato in senso promozionale rispetto alla natalità, cercando di sostenerne la possibilità a prescindere dalle condizioni economiche del nucleo famigliare, e risulta effettivamente in grado di accompagnare la maggior parte delle famiglie nel tempo e nelle diverse fasi del ciclo di vita con una modularità di servizi accessibili e trasferimenti monetari” (Rapporto Italia generativa) la Francia sta dimostrando che l’inverno demografico può finire.
Eurostat ha certificato che nell’Unione Europea la Francia registra il tasso di fertilità più alto. Infatti, mentre l’inverno demografico si irrigidiva quasi ovunque nella parte più dinamica del pianeta, nel 2021 (ultimo dato ufficiale) in Francia sono aumentate le nascite: i nati sono stati 742.100; tremila in più dell’anno precedente.
E se la notizia vera (nel senso della novità e della straordinarietà) fossero proprio questi tremila bambini francesi in più e non gli 850 mila cinesi in meno?
Un’agenda per i prossimi 15 anni
Cogliere le novità è la base di partenza per provare a replicarle. Senza pretendere di essere originali, in Italia si dovrebbe “allineare ogni misura messa in campo al livello delle migliori esperienze europee” come ha proposto il demografo Rosina al Festival della Dottrina sociale. In quell’occasione ha indicato anche un’agenda, che da qualche tempo è sostenuta anche da Gianluigi De Palo e dal presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo: “O nei prossimi 15 anni l’inversione di tendenza sarà realizzata portando le nascite sopra le 500 mila e consentendo di gestire gli squilibri oppure sarà sempre più difficile invertire la tendenza. Nel giro di 2-3 anni riusciremo a capire se i prossini 15 anni saranno tali da avere un crollo della popolazione attiva per arrivare al 2050 con uno scenario del tutto insostenibile”.
La conferma dei rischi di insostenibilità viene dall’ultimo Annuario statistico italiano: a livello internazionale l’Italia continua ad essere il paese con la nuzialità più bassa. In Ungheria i matrimoni sono più del doppio che in Italia (tasso di nuzialità al 6,9 per mille rispetto al nostro 3,1).
Che sia anche perché l’Ungheria offre finanziamenti alle famiglie che sono estinti dallo Stato ad ogni figlio che viene messo al mondo? Che sia da replicare?