Non sembra questo il tempo di un nuovo partito, ma c’è una consapevolezza: l’originalità del cattolicesimo democratico e sociale serve alla comunità.
“I cattolici sono davvero un problema per il PD? È l’acceso dibattito che contraddistingue l’attuale fase del Partito Democratico e che pare interessare tutto il centrosinistra: esisterebbe una questione cattolica che peserebbe sul futuro del PD e sui propositi di rinnovamento della nuova Segreteria. Molti sono i cattolici che pensano di abbandonare il partito che hanno fondato. Ma è proprio così? O è forse parte di una questione più radicale, che va oltre il cattolicesimo politico? “.
Così il sito Circoli Dossetti – Eremo e Metropoli presenta il 15 maggio il “libretto” di Luca E. Caputo Ferilli La (non) questione dei cattolici nel PD: tra valori, radici, matrici, e l’ombra delle due Chiese, che propone un racconto delle vicende politiche degli ultimi mesi.
Mercoledì 24 maggio il quotidiano Avvenire pubblica un intervento di Giorgio Merlo, che è stato parlamentare ed è attualmente sindaco. L’occhiello così riassume il contenuto: “Né ospiti né tollerati, è tempo di riaffermare le ragioni del cattolicesimo popolare, sociale e democratico”.
In mezzo (18 maggio) su politicainsieme.com per una presenza pubblica ispirata cristianamente Domenico Galbiati ragiona su La Sinistra e il “peccato originale”; mentre il 21 maggio Ettore Bonalberti pubblica l’articolo “Essenziale la verità sulla fine della Dc per riprendere a fare politica” (Il Domani d’Italia).
Sia Galbiati che Bonalberti, come anche il libro di Caputo Ferilli, non si limitano al tema della presenza (e delle modalità della presenza) dei cattolici popolari nella vita politica italiana. In questa Antologia abbiamo scelto solo spunti su questa questione.
Luca E. Caputo Ferrilli
I cattolici devono abituarsi a farsi sentire
Per una ventina d’anni la cultura cattolico-democratica non è stata praticata in quanto tale dentro ai partiti, nei quali era semmai chiamata a rielaborarsi e a farsi superare da una sintesi con le altre culture riformiste; ora, out of the blue, dopo un lungo periodo in cui l’esistenza di un pensiero cattolico non è mai sembrata un argomento degno di rilevanza concreta nelle decisioni da prendere (ad esempio, il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione erano in linea con i valori cristiani? E il debito pubblico lo è? E perché? Sono visioni che possono cambiare, con il tempo e le contingenze? Ne abbiamo mai discusso in questi termini, o abbiamo invece affrontato la questione secondo una idea condivisa dell’interesse generale?), d’un tratto veniamo a conoscenza di essere un problema per il PD, proprio in quanto cattolici.
Meraviglia!
Di più! Veniamo anche a conoscere un sacco di gente che ce la spiega: che ci spiega cioè, facendo un po’ di cherry-picking sulla sua Dottrina Sociale, cosa professa la nostra Chiesa in politica; e ce lo spiega da sinistra e da dentro, non solo più da centro e da destra, com’eravamo abituati. (…)
Quello che in effetti mi sembra evidente è che, se vogliono essere presi più spesso sul serio, allora i cattolici devono abituarsi a farsi sentire: le spinte unitarie sono a questo punto, piuttosto di maniera; quel vincolo a pensarsi parte di un tutto, portatori di una cultura da superare, va messo in discussione. Per due motivi:
il primo è che nel mondo dominato dalla comunicazione, non ci si può trincerare dietro un contegno moderato, che pretende di essere mite, quando questo è in penombra, incapace di manifestarsi all’esterno. Bisogna farsi riconoscere, oppure non si verrà riconosciuti.
Il riconoscimento, del resto, è un qualcosa che ha a che vedere con la profezia e quindi nuovamente col senso cristiano dello stare nel mondo: se i cattolici democratici sono in grado di pensarsi, dentro la pratica politica, esclusivamente in termini di adattamento al mondo, allora non ha più alcun senso dirsi cattolici democratici e si può consegnare definitivamente alla storia la nostra nobile cultura.
Il secondo, è che per pensarsi come portatori di una cultura da sintetizzare politicamente, bisogna innanzitutto avercela.
E come si è diffusamente tratteggiato, oggi questo è in discussione; e, posso aggiungere, non da oggi: avendo avuto la fortuna di ascoltare Giovanni Bianchi, posso dire che in qualcuno questo dubbio ha iniziato a manifestarsi, con spietata chiarezza ma anche con gravida costruttività, da almeno dieci anni a questa parte.
Domenico Galbiati
Le differenze: un fattore di forza, piuttosto che di debolezza
La “biodiversità”, si potrebbe dire, è un valore anche in politica. Le differenze, piuttosto che essere accantonate o nascoste sotto il tappeto, come succede in un processo di fusione forzosa, pari a quello da cui il PD ha preso forma, vanno affrontate. Vanno prese di petto, con franchezza, considerate, senza timori, per quel che sono. Facendone, in tal modo, un fattore di forza, piuttosto che di debolezza, attraverso un processo di mediazione che cerchi di coglierne il possibile tratto comune ed un eventuale approdo condiviso.
Ma questo può avvenire solo in un rapporto di “coalizione”, attraverso il quale forze consapevolmente diverse, si confrontano e cercano, nell’interesse generale del Paese, i punti di utile convergenza, mantenendo ciascuna la propria autonomia di cultura e di elaborazione politica.
Ettore Bonalberti
Non c’è più tempo per restare nel ruolo di reggicoda
Se per la nostra generazione la nostalgia è in larga parte il sentimento che ha animato e sostiene la volontà di continuare a batterci, ai giovani delle nuove generazioni che si sono succedute, dopo la fine della Dc, molti dei quali testimoni dei disastri della nostra diaspora politica (1993-2023), è invece indispensabile spiegare a loro che cosa sia veramente successo negli anni che portarono alla fine ingloriosa della prima repubblica. (…)
La storia vale la pena di essere conosciuta anche attraverso i tanti “dietro le quinte” del grande teatro mediatico che, in tutto il mondo viene propinato all’opinione pubblica. Partire da questi fatti e spiegarli alle nuove generazioni credo sia l’impegno prioritario se si intendono cambiare le cose.
Non c’è più tempo, in ogni caso, per restare nel ruolo di reggicoda della destra o della sinistra, ma di impegnarci sin dalle prossime elezioni europee e regionali, per liste unitarie dell’area Dc e Popolare. Se De Gasperi con la Dc seppe porsi come argine al populismo e al qualunquismo di quel tempo, oggi spetta ancora ai cattolici democratici, liberali e cristiano sociali, concorrere alla costruzione del nuovo centro politico in grado di riconquistare la fiducia dei ceti medi produttivi e delle classi popolari che, in larga parte, stanno disertando le urne a tutti i livelli istituzionali.
Giorgio Merlo
Altroché “gentilmente ospitati” o semplicemente “tollerati”
Il ritorno della politica e quindi dei partiti nel nostro Paese dopo la stagione populista, non può non contemplare anche la presenza delle tradizionali culture politiche, seppur aggiornate e riviste. È in questa cornice che si colloca il ruolo, la funzione e la stessa “mission” dei cattolici popolari e sociali. (…)
Certo, se ad oggi non ci sono ancora le condizioni politiche, culturali e storiche per dar vita ad un partito popolare di ispirazione cristiana, laico nel metodo ma riconducibile alla tradizione del cattolicesimo politico nel merito, è indubbio però che questo filone ideale continua ad avere un ruolo determinante e decisivo per orientare e condizionare l’intera politica italiana. E questo non solo perché in tutti i tornanti più delicati della storia democratica del nostro Paese l’apporto e il ruolo dei cattolici popolari e democratici è stato addirittura decisivo per affrontare e sciogliere i nodi più delicati e complessi che si affacciavano di volta in volta. Ma anche per la semplice ragione che il radicamento sociale e territoriale di questa cultura nel nostro paese resta un elemento costitutivo della sua stessa identità politica e storica. Altroché “gentilmente ospitati” nei partiti o semplicemente “tollerati”.
25 maggio 2023
Il libro di Luca E. Caputo Ferilli
L’articolo di Domenico Galbiati
L’articolo di Ettore Bonalberti
Il sito di Avvenire per l’articolo di Giorgio Merlo