La morte di Don Egidio Munaron, parroco e fratello maggiore 

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Ha fatto il prete nella cattedrale di ogni persona.

Con lui il Concilio è diventato esperienza della Chiesa di prossimità nella quale tutti insieme si scrive il Quinto Vangelo.

Oggi Cadoneghe non lo perderà. Neppure questa volta lo perderà.
C’è stata un’altra volta che la comunità della Castagnara aveva accompagnato altrove don Egidio Munaron: era il novembre del 1983, don Egidio diventava parroco a Santa Teresa; la storia iniziata nel 1967 sembrava finita. Invece la storia continuava, tanto che nel 2008, quando norme canoniche ed età consigliano ai preti di “ritirarsi”, era tornato a San Bonaventura: fratello maggiore di una comunità che intanto era cresciuta, cambiata, ma che continuava a raccontarsi del suo fondatore e costruttore.
L’altrove di oggi per don Egidio Munaron è il suo Signore, al quale si è affidato attraversando con la morte il confine del tempo e dello spazio. Aveva appena compiuto i novant’anni, il 3 febbraio scorso. La sua comunità lo accompagnerà ancora una volta nel giorno del funerale e il distacco sembrerà definitivo, irrimediabile.
Eppure non sarà così neppure questa volta, perché questo prete è uno dei costruttori della Cadoneghe contemporanea; qui ha generato una comunità che ha continuato e continuerà nel tempo non solo a coltivarne la memoria, ma a dare frutti e quindi a rendere concreto e visibile lo spirito del fondatore.

La “parrocchia fatta in casa”

È stato così fin dall’inizio nel rapporto tra Don Egidio e la comunità di San Bonaventura alla quale il vescovo mons. Girolamo Bortignon l’aveva affidato come parroco prima ancora che ci fosse la parrocchia.
Sono infatti le case delle famiglie i primi luoghi per le riunioni della nuova parrocchia. Nelle cucine e nei tinelli don Egidio genera una comunità di fedeli che prima erano di Mejaniga, di Vigodarzere, di Pontevigodarzere; anche fedeli che non erano di “nessuno”, perché nuovi a Cadoneghe che intanto si stava popolando. Con spontaneità e – almeno per la stragrande maggioranza delle persone – senza “dottrina”, alla Castagnara si viveva l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II: prima di vocazioni o ruoli particolari sono gli elementi comuni tra i credenti a fare Chiesa. Erano passati appena tre anni dalla Lumen gentium, la costituzione dogmatica sulla Chiesa, nella quale il “santo popolo fedele di Dio” è centrale.
In quel testo conciliare c’è una riga che don Egidio ha sentito vera: “La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere” (LG 12). Così vera che per lui la vita delle persone è diventata il Quinto Vangelo. Lo scrive in un lungo racconto mentre si stava concludendo la sua seconda esperienza di parroco a Santa Teresa alla Guizza e stava per iniziare quello di fratello maggiore a San Bonaventura.
“Porto nel cuore tante e tante altre memorie da me vissute o a me raccontate: sono dentro come uno scrigno di cose preziose. Di esso non possiedo la chiave per poterle manifestare. Fanno parte dei miei segreti, degli incontri con le persone, delle confidenze ricevute, degli animi che si sono aperti. Lo chiamerei Il quinto Vangelo; quello che nessuno scriverà. Quello che è un po’ fatica scrivere. Forse sono le cose più belle, gli avvenimenti più quotidiani, più silenziosi, più riservati, ma belli, intimi, profondi, autentici dei quali è testimone il Signore. Ospite di ogni uomo, di ogni donna, di ogni bambino, di ogni giovane e di ogni anziano: colui che ha scelto il cuore di ognuno di noi come sua cattedrale preziosa”.
Fare il parroco nella cattedrale che Dio si costruisce in ogni persona: questo è stato il sacerdozio di don Egidio Munaron.

Il legame tra Vescovo e Popolo di Dio

Quando ho avuto modo di leggere questo testo vi ho trovato la risposta ad una domanda che mi ero fatto quando alla direzione del settimanale diocesano “La Difesa del Popolo” la segreteria dell’arcivescovo mons. Filippo Franceschi aveva trasmesso la consueta nota “Nomine tra il clero” nella quale si ufficializzava il trasferimento di don Munaron da San Bonaventura a Santa Teresa. Per il mio lavoro giornalistico conoscevo bene l’una e l’altra parrocchia e ricordo di aver pensato che mons. Franceschi “si approfittava” delle capacità di don Egidio, che a cinquant’anni si ritrovava a ricominciare da capo alla Guizza tutto quello che aveva fatto alla Castagnara; insomma, che invece di dargli una “promozione” gli dava un’altra parrocchia senza chiesa.
Se la cattedrale di Dio è ogni persona, non era stata assolutamente quella la valutazione del diretto interessato, che in quello stesso testo fornisce anche un’altra motivazione della sua disponibilità al nuovo incarico del 1983: “Non ci pensai molto: se è volontà di Dio, perché fare troppi ragionamenti umani? Se è un servizio spirituale, perché fare troppi calcoli? Talvolta, essere incoscienti, è una virtù. L’obbedienza è un campo fecondo”.
Anche fare il parroco come legame tra Vescovo e Popolo di Dio è stato il sacerdozio conciliare di don Egidio. È questo il fondamento di quella Chiesa di prossimità che egli ha realizzata a Cadoneghe, costruendo non solo i luoghi in cui potesse radunarsi, ma soprattutto i legami tra persone, tra istituzioni, tra associazioni; perché la cattedrale di Dio è ogni persona e quindi è la comunità delle persone quella che conta.
È in queste cattedrali che da oggi, giorno della sua morte, don Egidio Munaron continua il suo sacerdozio. E le persone di Cadoneghe non lo perdono.

DIARIO / MARTEDÌ 15 FEBBRAIO 2022

Foto di Mauro Minotto