ANTOLOGIA
Gli operatori nelle Rsa stanno offrendo una prova di enorme abnegazione.
Ma il loro compito è difficilissimo
sia per l’assenza dei familiari sia per la carenza di materiale di protezione.
Corriere della Sera
26 marzo 2020
Marco Trabucchi
presidente dell’Associazione italiana di Psicogeriatria
L a drammatica realtà di questi giorni ci ha fatto dimenticare i problemi che affliggono le persone che vivono nelle case di riposo. Problemi che riguardano la salute di ben 65 mila nostri concittadini in Lombardia, ma anche dei 25 mila che abitano in Veneto e così in Emilia-Romagna.
Inizio la descrizione della crisi onorando il servizio di molte migliaia di operatori, che stanno esprimendo una dedizione assoluta, senza risparmio di energie fisiche e psichiche.
Sono sempre disponibili; in molte strutture è scomparso l’assenteismo.
Le difficoltà e le paure potrebbero abbrutirli; invece mostrano una forza d’animo formidabile, alla ricerca continua di fare il meglio e il massimo per le persone loro affidate.
In questi giorni è stato vietato l’ingresso nelle strutture dei parenti, creando, oltre a problemi affettivi, anche qualche dinamica organizzativa, perché, ad esempio, i parenti erano indispensabili per imboccare gli anziani.
Allora è iniziato un quasi miracolo, perché tutti, personale fuori turno, medici, direttori si sono prestati a imboccare. Tanti altri sarebbero gli esempi di questa nostra capacità semplice, generosa, popolare, ma efficace, di andare incontro a chi ha bisogno: «non ci sono più o non ci sono mai stati dispositivi individuali per proteggere il personale delle residenze, ma le sartine tuttofare dei nostri paesi ci pensano loro…».
Dopo esserci vicendevolmente rassicurati sulla qualità umana e professionale di chi si prende cura dei nostri concittadini, sottolineo alcuni aspetti più problematici.
Il provvedimento che ha inibito l’accesso alle residenze ai famigliari è stata una decisione dolorosa. In particolari situazioni, e in condizioni protette, viene ammesso un solo famigliare, quando l’ospite si trova in condizioni terminali.
Ciò sta provocando dolore nei famigliari che non possono più vedere direttamente i loro cari, scambiare una carezza, una parola.
La situazione è particolarmente difficile quando l’ospite è affetto da demenza, perché è sensibile al tatto, al tono della voce, alla vicinanza fisica; sente quindi forte la lontananza da chi gli vuole bene, perché i sistemi di comunicazione attraverso uno schermo non permettono di percepire i sentimenti d’amore.
Un altro aspetto delicatissimo è la mancanza di protezione degli operatori (camici monouso, occhiali, guanti, mascherine).
Purtroppo, il ritardo nella fornitura di questi dispositivi mette in gravissima crisi l’attività assistenziale; come è possibile esporre al rischio di trasmissione del virus le persone che lavorano, le quali hanno a casa una famiglia, spesso con bambini piccoli?
C’è soltanto da sperare che le dure proteste permetteranno di superare le difficoltà burocratiche che provocano abbandono e dolore. Coloro che decidono hanno i mezzi per rendersi conto che le residenze non sono lazzaretti, ma luoghi di cura per cittadini come noi, quelli «che ci hanno dato la vita e hanno fatto la nostra storia» (Francesco).
Giunge loro all’orecchio il grido di dolore che proviene da tanti luoghi dove la vita è già, di per sé, difficile?
L’articolo del professor Marco Trabucchi, docente di psicofarmacologia all’Università romana di Tor Vergata, è stato diffuso in Veneto dalle associazioni Uneba e Uripa, che rappresentano la quasi totalità delle case di riposo.
Il presidente dell’Uripa, Roberto Volpe, l’ha inviato alle istituzioni nazionali e regionali, “augurando che vi sia una ennesima coscienziosa riflessione sul tema degli ospiti delle strutture per anziani del nostro Paese”.
L’Uneba ha diffuso l’articolo con questa nota: “L’epidemia e i suoi rischi, anzitutto. Ma non solo. L’abnegazione del personale costretto a sforzi supplementari. Il dolore dei famigliari che non possono più vedere i loro cari. Lo smarrimento doppio dei malati di Alzheimer: vivono per gli abbracci e le carezze, non riescono proprio a compensare con una videochiamata. Il ritardo nella fornitura di dispositivi di protezione individuale come le mascherine. Eccole, le fatiche dei centinaia di enti Uneba che sono strutture residenziali per anziani e di tutte le altre strutture analoghe nell’Italia travolta dal Coronavirus. Le racconta sul Corriere Salute del 26 marzo Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria. Sullo stesso tema era già intervenuto su Avvenire. Da parte di Uneba un grande ringraziamento al professor Trabucchi per il suo sostegno”.