L’hospice delle Suore Elisabettine per malati terminali a Padova.
La Regione Veneto non valorizza la dimensione della qualità nell’assistenza.
Padova, 3 ottobre 2022
Chiude Casa Santa Chiara, qui, nella nostra città. È ufficiale.
Chiude un pezzo della mia vita, della nostra, di molti di noi che hanno avuto la fortuna di incontrarla sul proprio cammino.
Per tanti potrebbe definirsi una sfortuna: d’altronde si trattava pur sempre – almeno sulla carta – di un hospice per malati terminali convenzionato con il SSN, considerato dai più, notoriamente, come luogo di sofferenza e angoscia; comprendo che non è facile aprire gli occhi sul dolore, e sulla consapevolezza che possa far parte della propria vita.
È meglio nasconderlo sotto il tappeto; anche se prima o poi ci farà inciampare. Potremmo sempre dare la colpa al pavimento, a quel punto.
Nel silenzio del Comune, della Regione, e di una città frastornata dal chiasso del quotidiano, dalle elezioni politiche, dalla chimera di una ricerca della prestazione ad ogni costo, della performance migliore e del primato, dell’eccellenza; mentre tutti – includo anche me stessa ovviamente – eravamo troppo presi dalle contingenze per rendersi conto di ciò che stava accadendo, il portone di Casa Santa Chiara chiudeva.
Cancelli chiusi definitivamente dal primo Ottobre, ultimi pazienti già “sistemati” in strutture alternative, personale alla diaspora presso altri Enti, pubblici e privati.
Problema archiviato.
Le cause, le solite. Rette ferme da dieci anni, spese costantemente in aumento, personale sempre più difficile da reperire per coprire i turni di quel gruppo meraviglioso di persone che ogni tanto aveva bisogno anche di un po’ di riposo. L’Istituto delle Suore Elisabettiane impossibilitato a farvi fronte da solo. Nessun aiuto da quegli Enti che avrebbero dovuto darlo, pur preavvisati della situazione. (…)
Ed ora, con la chiusura del Santa Chiara, una città come Padova, e l’intera provincia, si ritrova con 11 posti letto in meno. Con meno calore, meno affetto, meno sorrisi, meno carezze, meno abbracci, meno lacrime raccolte. Una famiglia in meno. (…)
Perché lì dentro, le emozioni – soprattutto quelle negative – e la morte, hanno sempre avuto una dignità, come la vita stessa. Erano le persone, proprio lì dentro, ad avere una dignità, sino all’ultimo respiro. Persone, non pazienti, né posti letto.
Certo, anche altre strutture sono sicura che fanno e faranno un bellissimo lavoro. Ma Casa Santa Chiara comunque non ci sarà più.
Ed era un punto di riferimento per la Città e la Provincia, o almeno io mi immaginavo che lo fosse, almeno negli ultimi 25 anni: eppure, nessuno ha alzato un dito per aiutarli, anche se sarebbe bastato davvero poco. Resta la rabbia, resta il rimpianto. Ma resta ancora la speranza.
Recentemente, Suor Lia ha piantato nel giardino della Casa il tiglio che avevo portato due mesi fa, a ricordo di mamma, assistita da tutti loro amorevolmente gli ultimi due mesi della sua vita, dopo una lunga malattia che, in aprile, me l’ha strappata via a 59 anni. (…)
Quel tiglio – l’albero preferito di mamma – fiorirà ancora in Primavera in quel giardino pieno di rose, giacinti, viole e margherite; spero tanto che, in qualche modo, nello stesso periodo, qualcuno riuscirà ancora a far riecheggiare, fra le mura dello stesso giardino, le deboli risate dei malati.
Che saranno pure flebilissime, ma vi assicuro che per un familiare possono contenere vibrazioni da soprano.
Vorrei tanto che questa storia avesse un finale diverso, questa volta.
Vorrei tanto che qualcuno aiutasse a scriverlo.
Valentina Rocca
Commenta Tino Bedin
È durata un solo giorno la notizia della chiusura di Casa Santa Chiara. Come altre notizie che coinvolgono negativamente la Regione Veneto guidata da Luca Zaia, anche la conclusione del servizio delle Suore Elisabettine ai malati terminali nell’hospice di via San Giovanni di Verdara a Padova non ha avuto seguito.
Anche per questo una mia amica, che ha vissuto la sua stessa esperienza, mi ha girato una lunga e coinvolgente testimonianza di Valentina Rocca. Per questa rubrica di dialogo ne ho ricavato le parti che più ci coinvolgono come comunità politica e civile. Coinvolgerà la politica anche quel tiglio piantato nel cortile di via San Giovanni di Verdara: a primavera fiorirà e farà memori delle responsabilità.
La responsabilità della Regione Veneto è del tutto evidente proprio nella “giustificazione” che prontamente l’Ulss Euganea ha fatto. Riferendosi ad una delle ragioni di insostenibilità del servizio evidenziate dalle Suore Elisabettine, e cioè una retta giornaliera non adeguata a sostenere i costi reali dell’hospice, il comunicato dell’Ulss Euganea dice che “la tariffa giornaliera è definita con delibera regionale, non può essere modificata dalla Usl, ed è la stessa per tutti gli hospice del Veneto”.
Diceva Don Lorenzo Milani: “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diversi”.
Ecco la ragione della chiusura di Casa Santa Chiara: la Regione di Luca Zaia adotta tariffe uguali per situazioni diverse; tariffe valide indifferentemente per strutture commerciali e per strutture sociali e di volontariato; non valorizza la dimensione della qualità nell’assistenza. In questa maniera è evidente che chi ha “spalle grosse” farà scomparire le espressioni di vicinato.
È la logica del centro commerciale contro le botteghe di quartiere.
È anche una vicenda triste per la Chiesa. Casa Santa Chiara era una delle ultime profezie della Chiesa padovana. Era infatti stata aperta nel 1994 per accogliere i malati di Aids: ed allora i malati di HIV erano messi ai margini dalla società, considerati appestati e ritenuti colpevoli della loro malattia.
Una profezia successiva è stata Casa Madre Teresa di Calcutta a Sarmeola: integrazione di servizio ecclesiale dell’intuizione profetica del vescovo Girolamo Bortignon con l’apertura dell’Opera della Provvidenza. È da sperare che le politiche sanitarie della regione Veneto non mettano in difficoltà anche questa Casa.